giovedì 28 luglio 2005

MASSIMO FAGIOLI:L'INTERVISTA DEL 28 LUGLIO 2005SUL CORRIERE DELLA SERA!

ricevuto da Pasquale Di Fonzo

Corriere della Sera 28.7.05
Fagioli: con Fausto perché è un passionale libero dalle ideologie
Alessandro Trocino

con fotocolor!

MILANO - Lui se la rideva, a vederlo nella sua piccola libreria romana «Amore e psiche», «un po’ terrorizzato dalle nostre domande», a discettare sul giovane Marx e Feuerbach, a spiegare se venga prima la prassi o le idee, a intimorirsi sulle domande di giovani fanciulle sulla «sofferenza della mente». Però a Massimo Fagioli, l’anziano psichiatra eretico, è piaciuto molto «questo Bertinotti che si cimenta nelle idee, che considera la politica non come calcolo amministrativo delle risorse, ma come passionalità, emozione, ricerca di liberazione».
Dicono che Bertinotti senta molto la sua influenza. Del resto, la chiamano guru.
«Bertinotti l’ho conosciuto l’anno scorso, ma evidentemente i miei scritti li conosceva già: lui stesso lega la scelta della non violenza alle mie teorie. Ma guru non mi piace. A meno che non si scherzi».
La non violenza, una scelta contestata da alcuni.
«C’è una frase terribile che non sono riuscito a dire: non ci sarà mai nessun comunismo se non si affronta la realtà umana. Persino Marx ha fallito e si è dato all’economia politica. Io sono convinto di avere scoperto questa realtà».
Riesce dove Marx ha fallito.
«Una bella superbia, eh? Ma l’ha detto lei, io mi astengo».
Che cos’è questa realtà umana?
«Che dobbiamo scoprire un’altra violenza, quella invisibile che sta nella mente, nelle pulsioni. Lei sa che per Freud l’inconscio è perverso. E invece è sano. Se si ammala, si cura».
Lei non ha mai amato Freud.
«Era un povero cretino, un demente. Nevrotico e psicotico».
Ma non era non violento?
«Distruggo il distruttore della realtà umana. Senza toccarlo: è morto da quasi 70 anni».
Che cosa c’entra tutto questo con Bertinotti?
«Bertinotti ha capito che non si tratta soltanto di procurare benessere fisico, bisogna fare un lavoro sulla mente, liberarla dalle ideologie, dalle religioni, dagli orchi del male, dalle fate».
Il comunismo è un’ideologia.
«Anche Bertinotti ha ammesso che è fallito e ora cerca di farne uno nuovo. Per questo occorre una teoria sulla mente umana. Non basta la fratellanza universale: quella c’era già nel cristianesimo e non è bastata».
Lei è comunista?
«Mai stato. All’epoca stavo con il socialismo di sinistra di Lombardi. Con il Psiup, che era più estremista dei comunisti».
L’Unione di Prodi le piace?
«Prodi è abile, ma non mi convince il suo cattolicesimo. E’ un chierico, basta vedere il modo in cui si muove. Ora dice di essere un cattolico laico. Prima, però, ha votato la legge criminale sulla fecondazione».
Rutelli?
«Mah, era laico, radicale, anticlericale. Ora è un baciapile».
E Fassino?
«Pure lui ora crede in Dio. Una volta, nel Pci bisognava essere atei. Ora anche la Turco è ultracattolica. Sono problemi».
Teme lo Stato confessionale?
«Altroché. Il capo di uno Stato straniero si permette di dirci che leggi fare e nessuno protesta. Ormai è uno Stato teocratico. In Italia c’è democrazia, ma poi alla fine uno viene isolato. Al limite, c’è più libertà in Iran».
Bertinotti ultima speranza?
«Beh, così mi pare eccessivo. Ma anche Fausto, ora che ha abbracciato la non violenza, dovrebbe liberarsi di quelli dell’Ernesto. Dei leninisti, dei trotzkisti. E’ roba vecchia, pesante».
Ce la farà alle primarie?
«Chissà. Non so nemmeno come si fa. Ma dove si vota, poi?».

"IL RIFORMISTA" DEL 27.7.05, un articolo "completo"

ricevuto da Pasquale Di Fonzo

il Riformista 27.7.05

Primarie, oltre il 12% il comunista si sentirà un vincitore
Bertinotti nel covo dei «fagiolini» lancia la sua lotta di liberazione


«Perché io valgo» diceva una vecchia pubblicità. Perché io «voglio» sembra dire invece lo slogan di Bertinotti. Tanti piccoli post-it, come quelli che si tengono accanto al telefono per ricordarsi degli appuntamenti, con scritta sopra quella parola - voglio - cui ognuno è chiamato ad aggiungere i propri desideri, in uno spazio bianco chiuso dalla scritta: «Bertinotti presidente» (vedere il sito allestito dall'agenzia Pro-forma, la stessa di Vendola, faustobertinotti.it, cui il segretario non mancherà di «collegarsi» spesso).
Dalla libreria romana Amore e Psiche, il candidato Fausto ha lanciato così ufficialmente la sua campagna per le primarie. Prima ha spiegato cosa «vuole» lui, quindi ha ascoltato cosa «vogliono» i suoi sostenitori. E la prima notizia è proprio questa, perché in platea siede anche quella controversa figura di psichiatra e di intellettuale che risponde al nome di Massimo Fagioli.
Filo conduttore della campagna bertinottiana è lo scontro tra «popolo ed élite» che si vince anche con nuove forme di partecipazione.Di qui la scelta di candidarsi alle primarie. Il discorso bertinottiano parte dall'«orizzonte primo» della sua politica, non violenza e pacifismo, con compiaciuto riferimento alla scelta di inserire nel manifesto della coalizione il riferimento all'articolo 11. «Dove sta scritto che l'Italia ripudia la guerra - chiosa Bertinotti - che vuol dire ritiro immediato dalle truppe dall'Iraq». Quindi il governo Berlusconi come «monumento al fallimento delle politiche neoliberiste», da cui discendono le primarie come grande mobilitazione per «bandire quelle politiche, non solo per cambiare un ceto di governo». Per passare poi al punto centrale: lotta al precariato «che deruba di futuro tutti, a cominciare dalle nuove generazioni», perché al «primato del mercato» bisogna opporre la «valorizzazione» del lavoro, dell'ambiente, delle persone. E per il segretario del Prc occorre farlo cominciando con la «restituzione del maltolto, dal potere d'acquisto ai diritti sociali e di cittadinanza» e con il «recupero dei beni comuni, che vanno restituiti alla collettività, come l'acqua». Dunque lotta dura e senza paura alla precarietà. E abrogazione di legge 30 (Biagi), riforma Moratti e Bossi-Fini. Perché «il cattivo lavoro risucchia la buona scuola» e siccome poi (la precarietà) incontra lo stesso delle resistenze nella società, ecco che «servono gli immigrati da sfruttare come veicolo per romepere quelle resistenze». Ma il candidato Fausto pensa davvero di vincere? Bertinotti considera un buon risultato andare oltre il 12% ma la vittoria è raggiungere il 50 più uno (e il caso Vendola, ha spiegato poco prima, dimostra che è possibile). Seguono domande di assai diverso tenore.
Perché siamo pur sempre a due passi Pantheon e a mezzo metro dal palazzo in cui soggiornò Stendhal - come ricorda la targa sopra la stesta dei vigili che chiudono la via al traffico - nella libreria progettata «a partira da un'idea di Massimo Fagioli» (da tempo in rotta con la società psicoanalitica italiana) animatore di «seminari» seguiti da un folto gruppo di appassionati seguaci, noti a Roma come «fagiolini» (primo incontro tra fagiolini e bertinottiani, il dibattito con Pietro Ingrao a Villa Piccolomini del 5 novembre scorso, affollato dai fan dell'autore di Teoria della nascita e castrazione umana). Se non si tenesse conto dell'uditorio si rischierebbe di fraintendere la piega che prende il dibattito con parole che lo stesso Bertinotti certo non avrebbe mai pronunciato nel salotto di Bruno Vespa, ma nemmeno a un'assemblea della Fiom. A cominciare dalla necessità di «spezzare il paradigma conoscitivo» perché siamo ancora «figli delle categorie evoluzionistiche» (quelle secondo cui innovazione e modernità portano il progresso sociale). Proseguendo con quel cupo «Noi non possiamo espungere dai nostri pensieri l'incombenza della crisi. Il bivio è dinanzi a noi: liberzione o catastrofe». E a proposito della sua idea di «comunismo come promessa», al centro di molte domande: «Noi viviamo in una sorta di attesa, in una fase di cui abbiamo la premonizione, perché le parole di cui abbiamo bisogno ancora non ci vengono, anche se ne abbiamo la suggestione». Chiedendosi infine come «teoria e prassi si ricompongano in una pratica collettiva di liberazione di cui ci mancano - appunto - le parole, ma di cui forse cominciamo ad avere qualche lettera». Finale difficile, che risponde a una domanda difficile di Giulia Ingrao (sorella di Pietro) che quasi lo invita ad abbondonare la non violenza. Finale che ha però almeno il pregio di aprire alla speranza dopo molte citazioni di Rosa Luxemburg sulla percezione della crisi di civiltà e della catastrofe imminente, tra applausi sroscianti.

"AMORE E PSICHE" MASSIMO FAGIOLI BERTINOTTIpersino su "IL CAMPANILE", di Clemente Mastella...

ricevuto da Claudio Saba

Il Campanile 28.7.05
NEL SOLCO DC CONTRO LO “ZAPATERISMO”
Mastella: «Il programma lo scrive chi vince le primarie». Prodi: nessun accordo, sarà una vera sfida
di Manuela D’Argenio


Altro che finzione. La sfida elettorale del centro-.sinistra, per eleggere il candidato che lo rappresenterà meglio nella corsa per Palazzo Chigi, non lascia niente al caso. E tanto meno all’improvvisazione: tutto, ogni dettaglio, è accuratamente studiato dai candidati in lizza, determinati a portare a casa un risultato spettacolare. Insomma, stavolta si fa sul serio. E dopo avere gettato le basi dei valori fondanti dell’Unione, raccolti in una carta preziosa, quasi a simboleggiare una sorta di Costituzione, prende il via una campagna elettorale serrata, dove ognuno gioca il tutto per tutto per calamitare quanti più elettori possibili. Così mentre Bertinotti inaugura la sua scesa in campo nella libreria “Amore e psiche” del guru (giudicato spesso eretico oltre che marxista) Massimo Fagioli, per dare visibilità «a questo popolo di sinistra», Clemente Mastella, di contro, basa la sua corsa sui valori cristiani della ex Dc («mi chiedo chi può muovere appunti al modo con cui ha interpretato il senso dello Stato e la sua laicità»); sulla ricerca di un grande centro e sulla visibilità dei moderati. Delle due, l’una: alternative antitetiche di una stessa compagnia, destinate a stare insieme in nome di quella Carta siglata nella quale pure si rispecchiano. Ma, sia chiaro, ognuno con una propria identità, e un proprio traguardo da tagliare. Da un lato, l’obiettivo di «dimostrare che l’Unione, come accaduto in Puglia, può essere guidata da un uomo o una donna di sinistra per uscire da questo stato di minorità»; dall’altro, l’ostinazione mastelliana contro «lo zapaterismo strisciante che circola». Visto che, precisa meglio il segretario dell’Udeur in un’intervista a Repubblica, «Zapatero ha vinto con i soli voti della sinistra, mentre alle regionali il centro-sinistra ha vinto anche grazie a noi». E poi, un po’ di numeri da inseguire. Il rosso Fausto, auspica a superare la soglia del 12 per cento, poiché «considerando che sono solo i voti dell’Unione il 6 per centro di Rifondazione si raddoppia»; il centrista Clemente, invece, prende atto delle «equazioni di Bertinotti» e reputa un «grande successo» prendere più «voti di quelli abituali». L’importante, però, è che «il candidato che vince fa il programma». Insomma, precisa Mastella anche su questo in disaccordo con Bertinotti, «non si può essere americani quando conviene e dimenticarlo quando non conviene. Poi il vincitore dovrà tenere conto anche delle sensibilità promosse da candidati alternativi, perché rappresentano importanti quote di mercato politico», ma questo è ancora un altro discorso. Il punto, adesso, è tenere quanto più salda possibile l’alleanza, a prescindere da quale sarà il suo leader. E per farlo, continua il segretario udeurrino, è necessario lasciare che i Radicali «restino a girare», poiché «non accetterò mai che arrivi Pannella a porre condizioni». Nessuna nuova alleanza in cantiere, dunque. Visto che, già così, serve una bella guida per evitare «che vengano fuori piccoli mostri programmatici», e, confida Mastella, «spero che Prodi possa mediare tra le mie posizioni e quelle di Bertinotti». Questo, si intende, a primarie terminate. Perché fino ad allora, spiega un Romano Prodi determinato che oggi inaugura la sua campagna elettorale, «sarà una sfida vera». «Non ci siamo messi d’accordo. Ognuno pensa a che Paese vuole e lo esporrà agli elettori e questi decideranno». Intanto, quanto al programma, «indichiamo i grandi obiettivi», il resto, «il dettaglio sulle cifre e sulle virgole» verrà dopo le primarie. L’importante, insomma., è che la sfida abbia inizio.

La registrazione dell'incontro con Fausto Bertinotti
alla libreria Amore e Psiche
di Martedì 26 Luglio 2005
è online sul sito www.mawivideo.it

Saluti,
Mawivideo

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www.faustobertinotti.it
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mercoledì 27 luglio 2005

"LIBERAZIONE", il giorno dopo...

Liberazione 27.7.05
A Roma una grande folla alla conferenza stampa del segretario del Prc. Applausi e consensi e una discussione appassionata
Bertinotti presenta le sue primarie: «Questa partita va giocata»
Rina Gagliardi


«Beh, visto che meglio di così non potrà andare, varrebbe la pena di chiudere qui le primarie…». Si permette anche questa battuta scherzosa, Fausto Bertinotti, uscendo dalla libreria "Amore e Psiche", dopo un'ora e mezza di conferenza stampa. E la folla gli dedica un supplemento generoso e affettuosissimo di applausi - proprio come se volesse continuare un confronto che si è rivelato davvero ricco e coinvolgente. Siamo a Roma, a due passi dal Pantheon, in un primo pomeriggio caldo e afoso, eppure sono ancora centinaia e centinaia quelli che si accalcano l'uno a ridosso dell'altro - moltissimi i giovani e le donne, finalmente.

La candidatura del segretario di Rifondazione comunista alle primarie dell'Unione è partita alla grande - un decollo quasi migliore di quello dello Shuttle, avvenuto quasi in perfetta contemporaneità. Non è solo, a stupirci, a impressionarci (e perché no? a scaldarci il cuore), la grande partecipazione: è l'affetto e il calore (ben oltre quello solare) da cui Bertinotti è circondato. E' la voglia di parlare con lui, di porgli quesiti "da niente" come l'essenza del comunismo da costruire, l'emancipazione e la liberazione - dal bisogno, dalla fatica e anche dalle oppressioni della mente. Il comunismo come "promessa", pur finora mancata, eppure ancora e soprattutto promessa. O come attesa «del tempo che ci rimane», come dirà Bertinotti rispondendo alla bella provocazione di Giulia Ingrao. Sì, se quel che si temeva era il pericolo "politicista", di una presentazione della sfida di Bertinotti risucchiata dalle contraddizioni e dalla scadenze a breve, bisogna dire che esso è stato rapidamente fugato.

Merito anche della sede scelta, una libreria, appunto, non un "palazzo della politica" - e una libreria particolare qual è "Amore e Psiche", centro notissimo, nella capitale, della ricerca e della pratica analitica di Massimo Fagioli. Già una volta, l'anno scorso, si svolse - tra Bertinotti, il professore e Pietro Ingrao - un incontro felice, quanto a capacità reciproca di stimolo e interlocuzione: il tema fu allora quello della nonviolenza. E oggi, sempre qui, l'inizio della corsa che si concluderà il 15 e 16 di ottobre testimonia che ci sono pezzi significativi della "società civile" (insomma, delle tante persone che praticano un impegno, una scommessa, una ricerca non solo personale, e non fanno parte del ceto politico) disponibili a una scelta azzardata, come quella di far vincere le primarie ad un uomo della sinistra.

Già, anche se può apparire un'iperbole propagandistica, il senso della candidatura di Bertinotti è proprio questo: dimostrare sul campo che l'Unione, la vasta alleanza in costruzione che cercherà di sloggiare Berlusconi dal governo del Paese, può essere guidata «anche da una donna o da un uomo della sinistra». Non si tratta solo di un elementare deontologia, per rimediare al pericolo che il nuovo strumento messo in campo sia privo di ogni pathos, e dunque di far partire la competizione "almeno da due". Si tratta di qualcosa di più: di finirla con i complessi minoritari. E con l'idea che l'unità non può mai far rima con la radicalità - Puglia docet, del resto. E non è forse vero che le speranze diffuse nel popolo che vuol cambiare, che non ne può più del centrodestra, hanno un riconoscibile, fortissimo tratto di radicalità?

Ma poi, per chi avesse dubbi, ci pensa il moderatore della conferenza stampa, il nostro Darwin Pastorin («una meraviglia», chiosa Bertinotti, con chiaro riferimento agli splendidi articoli non calcistici, ma culturali che impreziosiscono Liberazione) ad offrire un parallelo in più. «Era il 16 luglio del 1950» racconta inaugurando la conferenza stampa «ed era in programma la finale dei mondiali di calcio. Si giocava Brasile-Uruguay, al Paranà, davanti a duecentoventimila persone, ed il Brasile era nettamente favorito, tanto che agli uruguagi fu raccomandato di prenderne il meno possibile. Eppure, quella volta l'Uruguay non accettò di fare la vittima predestinata: fu il capitano, Obdulio Varela, a incitare i suoi. A dire: questa partita io me la gioco. E l'Uruguay vinse la partita». Ecco la trasparente allegoria di Pastorin: noi, oggi, siamo l'Uruguay, e Bertinotti è il nostro Varela. Semplice, no? Quasi come trasformare un voto - una delle tante votazioni a cui siamo chiamati - in una occasione di cittadinanza attiva, di partecipazione, di presenza che rovescia i canoni e gli schemi previsti. Un piccolo strumento in più è quel post-it - il "foglietto giallo", dice Bertinotti che non riesce assolutamente a memorizzare l'anglicismo - in cui ognuno potrà scrivere l'oggetto dei suoi desideri - politici, sociali e civili, naturalmente. "Voglio…. Bertinotti presidente" (è la dicitura che si legge sul nuovo sito internet www. faustobertinotti. it) che chiede di essere riempita, farsi progetto collettivo, programma in progress, pungolo di massa. Un'idea (elaborata dall'agenzia "Pro Forma", non per caso barese) che Bertinotti commenta così: «Se la guardo, un po'mi viene da ridere. Ma poi penso che questo "voglio", in fondo, è un piccolo e utile gesto di ribellione. Un buon inizio». Per mettere in relazione popolo e rappresentanza. Per cominciare a superare quella "linea di faglia" che tende inesorabilmente - in Occidente - a separare le élites dalle masse. Per far pesare, nel programma dell'Unione, quelle direttrici - la pace e la nonviolenza, la lotta alla precarietà, la ricostruzione di uno spazio pubblico, incentrato sui "beni comuni" - così care alla sinistra, ai movimenti, alle persone, verrebbe da dire, di buon senso.

Ma sono questi, o altri, gli "irrinunciabili" paletti che Rifondazione comunista presenterà alla discussione programmatica dei suoi partner unionisti? Dov'è, se c'è, il punto di caduta della vostra battaglia e della vostra trattativa?

La domanda, una delle prime che animano la discussione, era nell'aria, era quasi d'obbligo, oltre che insidiosa. «Se al primo posto c'è la ricerca di un'intesa, non ci possono essere punti irrinunciabili» risponde Bertinotti. Altrimenti, è logico, bisognerebbe mettere in campo anche l'ipotesi della rottura dell'alleanza e della riscossa di un governo moribondo, come quello Berlusconi: una responsabilità politica che Rifondazione comunista oggi non intende assumersi. Una scelta che, però, non significa né rinunce preventive a far pesare punti di vista e opzioni alternative né volontà di costruire compromessi di basso profilo: il segretario di Rifondazione fa rilevare, a questo proposito, la posizione generale sulla guerra (contro la guerra) appena varata tra gli otto punti generali dell'Unione e il riferimento esplicito all'articolo 11 della Costituzione. «Sì, certo, un riferimento irrinunciabile, prima di tutto dal punto di vista costituzionale». E poi? E poi, certo, per mettere su un programma avanzato si può partire dalla più volte prospettata «triplice abrogazione» - via, cioè, la legge 30, la controriforma Moratti, la Bossi-Fini. «Non ci può essere una buona scuola se c'è un cattivo lavoro, tutto fondato sulla precarietà e la selezione di classe precoce, e sulla noncittadinanza dei migranti». Altra domanda, altra insidia: ma per lei, Bertinotti, qual è la soglia del successo? Qual è la cifra che pensa di guadagnare? «Sopra il 12 per cento è un successo, sopra il 50 è vittoria», risponde, per nulla imbarazzato, il segretario del Prc. Qualche altro spunto - sulla "riforma della giustizia" che lede l'autonomia della magistratura, sulla sicurezza, che non può mai esser perseguita a prezzo dei diritti basici di libertà, su Zapatero, che forse «abbiamo sottovalutato», anche rispetto al tema che oggi si ripropone della laicità dello Stato. Qui, in fondo, finisce la conferenza stampa. E comincia un confronto appassionato sulle grandi domande che oggi ci sono poste giocoforza dalle sconfitte e dai drammatici fallimenti del XX secolo. A chi domanda se il comunismo potrà essere ancora una "promessa", Bertinotti risponde citando Marx - il Marx pensatore della rivoluzione prima che critico dell'economia, il Marx che parla della liberazione dell'umanità come di quel percorso che «abbatte lo stato delle cose presenti». Sì, il comunismo è definibile come progetto irrinunciabile (questo sì) di emancipazione e liberazione - non solo "dal" bisogno, ma dalla servitù del lavoro salariato e perfino dal lavoro, inteso come strumento inevitabile di sopravvivenza. Si può perfino parlare della ricerca necessaria della felicità: non perché, dice Bertinotti, abbiamo ancora in testa un'idea totalizzante della politica, della quale se mai avvertiamo il limite necessario e anche drammatico; ma perché «la politica non può espungere da se stessa, dalla propria ricerca, la felicità delle persone». La politica - ecco il punto - può, deve, rimuovere tutto ciò che ostacola e anzi rende impossibile, nella società modellata sul modo di produzione capitalistico, il libero sviluppo umano: ecco, ancora, il comunismo, come massimo possibile della politica e di un percorso di liberazione. Quello di cui ha detto Rosa Luxemburg, unica alternativa storica alla catastrofe. Quello che animava l'angelo di Benjamin. Ma sul "che cosa", sulla "cosa", bisogna essere molto sorvegliati, dice ancora Bertinotti: che mette in campo un'altra delle sue metafore preferite, quella tratta dal poeta greco Kafavis. Quando raggiungerai Itaca, scoprirai forse che è solo una distesa di ghiaia. Ma scoprirai che, in realtà, quello che dava senso al viaggio, era proprio il viaggio, non la meta. Una suggestione quasi irresistibile: ma, chiede Giulia Ingrao, non rischiamo così di perdere di vista l'orizzonte finale? Vorrei sapere quale può essere la "libertà di", oltre che la liberazione "da". Vorrei sapere, ora che siamo approdati di comune accordo all'idea di non violenza, se pensiamo ad una rivoluzione tutta e solo sul piano delle idee. No, risponde Bertinotti, la nonviolenza non è rinuncia al cambiamento: è la rottura, prima di tutto, di un paradigma conoscitivo, quello secondo il quale il potere, in fondo, è neutrale - se lo occupano gli altri è male, se lo occupiamo noi, si trasforma in bene. Sappiamo che non è più così, ma siamo appena all'inizio della scrittura di una nuova storia collettiva - siamo ancora nell'era dell'attesa, del "tempo che resta". Siamo ancora dentro la crisi dell'idea di progresso, nella quale pur siamo cresciuti: di fronte a noi, sì, ci sono alternative drammatiche, che non si superano secondo i canoni "consueti". Tra lo scientismo e il confessionalismo, tra l'enorme e sempre più incontrollabile sviluppo della scienza e della tecnologia e la regressione oscurantista ("neoconfessionale"), ci dovrà pur essere un'altra via - il controllo sociale della scienza stessa. Tra la violenza cieca della guerra e la violenza cieca del terrorismo, non ci può essere che la replica della pace. Tra la politica separata e la fuga astensionistica, non c'è che la rinascita della partecipazione. La scrittura - insieme - delle tante parole che ancora ci mancano. Vedete che le primarie possono essere un buon inizio?

"IL FOGLIO", 27.7.05

segnalato da Claudio Saba
ricevuto da Carlo Cafiero attraverso Tonino Scrimenti
(non c'è firma, ma sembra Ferrara da come scrive):

Il Foglio 27 luglio 2005
Il candidato Bertinotti si presenta invocando la Provvidenza Rossa


Roma. A un certo punto, davanti all’ennesima osservazione – genere: non basta la libertà da, ma ci vuole anche la libertà di – viene da pensare: gli sta bene, a Bertinotti, se l’è andata a cercare. Ma il segretario di Rifondazione suda, gioca col mezzo toscano, gode come un matto e si scambia carinerie con Darwin Pastorin. Il giornalista lo paragona all’Uruguay “nella partita con il Brasile del 16 luglio 1950”, che doveva essere suonato e finì col suonarla ai favoriti, lui risponde “è una meraviglia” (Pastorin, non il paragone, o magari pure il paragone). Insomma, qui in questi pochi metri della libreria Amore e Psiche, che se ci metti tutto il gruppo parlamentare di Rifondazione è già piena – e aggiungete Citto Maselli, la sorella di Ingrao, il professor Massimo Fagioli, i giornalisti, Amore e Psiche, e non ci si sta proprio – Bertinotti è felice. E più la faccenda s’aggroviglia, il tema s’impenna, il pensiero si approfondisce, più lui gioisce, sorride, s’allarga. “Nel messianesimo non conta il tempo che è passato, ma quello che resta. Noi siamo nel tempo che resta”. Fuori, nel budello di via Santa Caterina da Siena, due passi dal Pantheon, centinaia di seguaci di Fagioli (e certo che i giornalisti, animali, domandano: i fagiolini?) fanno ressa, seguono su maxischermo, applaudono professore e leader. Sarà, come dice Bertinotti, che “le parole di cui abbiamo bisogno ancora non ci vengono”, ma certo ieri per presentare la candidatura alle primarie non è stata fatta molta economia in questo senso. Non tanto da parte del segretario, per niente da parte dei giornalisti, quanto dagli estimatori presenti, dai frequentatori della libreria, dagli ammiratori del professor Fagioli. Angusto il luogo, alta la discussione, ché pure Marx “è grande quando la prende alta”, e il comunismo, che è il massimo, è appunto “indicibile perché è il massimo”. Certo, le primarie sono primarie. E quelli di Repubblica fanno debitamente incazzare Bertinotti – con la faccenda che chi vince le primarie fa pure il programma che gli pare – che li legna sul Corriere e rifiuta loro l’intervista, e li legna pure Rina Gagliardi sulla prima pagina di Liberazione sotto l’ironico occhiello: “Lieve polemica”. E la precarietà, la guerra, la pace, il Cav. e la sinistra. Che qui, secondo il direttore della libreria, è splendidamente accasata, “la nostra storia intrinseca al tormento e alla sofferenza della sinistra”, e infatti Bertinotti ammette che la candidatura alle primarie “richiede molto amore e anche un po’ di resistenza psichica”. La campagna del segretario di Rifondazione ha come simbolo il post-it, i foglietti gialli adesivi che Bertinotti chiama appunto ostinatamente foglietti dato che il post s’impiccia con l’it, con sopra la scritta “voglio” e sotto l’invito a scrivere cosa. Alza gli occhi verso il manifesto: “Mi scappa da ridere: ‘Bertinotti presidente’, diciamo che mette di buon umore”. Gli chiedono la soglia accettabile di voti per queste primarie. Lui invoca la regola del “fare come se” ed evoca la Provvidenza Rossa, ammette che se i voti di Rifondazione sono il 6 per cento, “sotto il 12 è una sconfitta, con il 12 ho preso i miei voti, sopra il 12 è andata bene e sopra il 51 ho vinto”. Queste sono chiacchiere che ci si aspetta, ma non è questo che Bertinotti aspetta, tra pile di volumi sulla “Teoria della nascita e castrazione umana” o “Istinto di morte e conoscenza". Perciò una ragazza che evoca “un letto di bandiere rosse e di falci e martelli” e vuol sapere se “è sufficiente eliminare solo la sofferenza del corpo” o non anche “la sofferenza della mente”. La folla esterna applaude, Bertinotti si dice “un po’ intimorito dalla domanda”, ma si vede lontano un chilometro (anche se per vederlo qui dentro bastano tre metri e servirebbero cinquanta telecamere di meno) che ne gode, “non penso possa essere espunto dalla politica il tema della felicità, ma quando dico espunto non dico che possa essere compreso”, e sempre soccorre tanto il più volte invocato giovane Marx, quanto Kavafis e Itaca, ché “conta non la vita ma il cammino”. Non si mette un punto che subito si riparte. Domanda: l’identità umana sta nel benessere fisico? “Madonna, quanto siete difficili”. Dal fondo, ogni tanto Citto strilla: “Voce!!!”. Fagioli è soddisfatto: “Bertinotti ha dimostrato di averci seguito sempre, ha risposto bene, è aperto e sincero”. Il candidato si affaccia sulla porta. Ovazione. Ride: “Potremmo considerare chiuse qui le primarie”. Invece gli toccherà attaccare e staccare tanti post-it. Anzi, foglietti.

DAL "MANIFESTO" DEL 27.7.05: Giovanni Senatore

il manifesto 27.7.05
Nella giungla di «Amore e psiche»

GIOVANNI SENATORE

Non è la prima volta che il segretario di Rifondazione incontra la libreria «Amore e Psiche» e la ricerca dello psichiatra Massimo Fagioli. Il 5 novembre 2004 a Villa Piccolomini, Fausto Bertinotti e Pietro Ingrao si erano trovati a discutere di nonviolenza e trasformazione umana di fronte a duemila persone. L'evento è poi diventato un libro, nelle cui pagine si può forse cercare il motivo della scelta del luogo per lanciare la sua corsa alle primarie. «Analisi Collettiva. Incontri: Ingrao, Bertinotti» (Nuove Edizioni Romane) propone il contenuto integrale dell'affollato incontro-dibattito. Oltre a un'intervista a Bertinotti dell'editrice Gabriella Armando, alcune recensioni, la prefazione dello psichiatra Andrea Masini sulla trentennale vicenda dell'Analisi collettiva, la postfazione sull'intreccio fra ricerca sulla psiche e movimenti rivoluzionari dello storico David Armando e un'intervista di Fagioli sul comunismo del febbraio 1980.

Nel libro Bertinotti parla del senso della scelta non violenta e del rapporto tra la sinistra e l'Analisi collettiva, che si basa sulla teoria della nascita elaborata da Fagioli fin dal 1964 e poi pubblicata in «Istinto di morte e conoscenza». Bertinotti propone nell'intervista «un'uscita da sinistra della crisi del movimento operaio del Novecento attraverso una idea e una pratica del comunismo come liberazione». E trova qui un interesse vero al campo di ricerca dell'Analisi Collettiva: «Perché - spiega - Intuisco come vi sia un'idea dell'umano senza peccato originale e, quindi, con una tensione verso una liberazione possibile».

"LA PADANIA" DEL 27.7

ricevuto da Lucrezia Fusco

La Padania 27.7.05
Bagno di folla per il candidato Bertinotti...
E SE FOSSE LUI A VINCERE?

Igor Iezzi


Bertinotti si prepara così a conquistare l’egemonia della sinistra e fare poi pesare il suo successo alle primarie (quantificato sopra il 12%) nell’elaborazione del programma. Ieri, nella libreria Amore e Psiche di Roma, davanti ad oltre 1.000 persone (da far impallidire la chiamata alle armi di Prodi di qualche mese fa quando radunò a malapena 40 persone), il leader di Prc ha così lanciato la sua sfida, con una campagna in grande stile: sito Internet, manifesti, incontri e ascolto dei cittadini. «Le primarie influenzeranno il programma ma non faranno il programma - ha risposto indirettamente a Prodi che ha accreditato l’ipotesi di primarie sul candidato premier e sul programma - . Il programma si farà dopo. Se fossi io a vincere le primarie avremo un candidato di sinistra come si è già verificato in qualche parte del paese e potremmo anche vincere le politiche». Per Prodi si annunciano giorni di battaglia e una vittoria che, nel caso in cui non fosse larga nelle proporzioni, potrebbe rivelarsi una sconfitta.
[Data pubblicazione: 27/07/2005]

"IL MANIFESTO" DEL 27.7.05

il manifesto 27.7.05
Bertinotti alle primarie con l'erba «Voglio»
«Sopra il 12 per cento è andata bene. Sopra il 50 ho vinto». Il leader del Prc apre la campagna per le primarie. Si comincia dal sito internet e da migliaia di post-it per tappezzare i muri di messaggi
Cosimo Rossi


E' il 16 luglio 1950. Al Maracanà di Rio de Janeiro si gioca l'ultimo atto della coppa Rimet tra il Brasile e l'Uruguay. Ai favoritissimi padroni di casa basta un pareggio, l'allenatore degli ospiti si limita a chiedere di «non prenderne troppe». Il capitano celeste Obdulio Varela è il solo che negli spogliatoi incita a non alzare lo sguardo sugli spalti ma a fissare il pallone. Al 47° Friaca porta in vantaggio la seleção. Ma l'Uruguay tiene serrate le fila, e al 66° Schiaffino pareggia. Assediati dai palleggiatori verdeoro, gli azzurri ribaltano il risultato al 79° con un tiro non irresistibile di Ghiggia. L'Uruguay è campione del mondo, il colossale Maracanà s'inchina invece mesto. 26 luglio 2006. Un giornalista brasialiano e d'inveterata fede nella vecchia signora pigliatutto del calcio italiano, qual è Darwin Pastorin (che del portierone carioca Moacyr Barbosa e della sua papera ha anche narrato l'epopea tragica), sceglie appunto la figura di Obdulio Varela come metafora della sfida di Fausto Bertinotti introducendo la conferenza stampa di presentazione della candidatura del leader del Prc alle primarie dell'Unione. Cosicché, quando a Bertinotti tocca il dovere del pronostico, non c'è di meglio che stare al gioco: «Che deve dire un capitano? Quando compete lo fa per vincere - dice - Sennò va a casa». Ma visto che il politica i numeri contano, Bertinotti non può sfuggire: «Alle elezioni prendiamo un 6%, anche se prenderemo di più - ragiona - Dato che l'Unione prenderà qualcosa più del 50%, 6 più 6 fa 12» Quindi: «Sotto il 12% sono sconfitto - continua Bertinotti - Al 12% significa che hai preso i tuoi. Sopra il 12% è andata bene. Sopra il 50% hai vinto». Che vuol dire tutto e nulla. Ma vuol dire di certo che sulle primarie il leader di Rifondazione ci investe davvero: che punta più alto dei calcoli algebrici che illustra.

All'esterno della libreria romana «Amore e psiche» la presentazione della candidatura è un bagno di folla (con altoparlanti e schermi), soprattutto dei molti seguaci dello psichiatra Massimo Fagioli. All'interno si presenta invece la corsa verso il voto che si svolgerà a metà ottobre assistita dal team della «Proforma» (la stessa società che ha realizzato la campagna di Nichi Vendola in Puglia e, prima ancora, del sindaco di Bari Michele Emiliano). E il primo atto è «un foglietto», non si ricorda il nome Bertinotti. Ovvero un post-it giallo con la scritta «Voglio» e uno spazio libero per esprimere il desiderio con cui far decollare la candidatura del leader del Prc, che per tutta la prima fase sarà calibrata soprattutto sul sito internet. «Voglio che mio figlio non conosca guerre e terrorismo», «Voglio andare in vacanza senza preoccupazioni per il mio lavoro», «Voglio un'Italia migliore», suggerisce il sito attivato da ieri: www.faustobertinotti.it. «Voglio è un buon inizio per un programma - spiega Bertinotti - E' un segno di ribellione, rompe il meccanismo secondo cui hai un diritto solo per elargizione». E anche quello secondo cui la guida del governo è interdetta «una donna o un uomo di sinistra - aggiunge - Se non oggi, domani».

"L'ADIGE", "IL GlORNO", "LA NAZIONE" e "IL SOLE 24ORE"

L'Adige 27.7.05
Folla enorme al comizio. Bertinotti apre le primarie
l'articolo è disponibile in rete solo per gli abbonati

Il Giorno e La Nazione
27.7.05
anche gli articoli che "Il Giorno" e "La Nazione" (entrambi QuotidianoNet, come anche "Il Resto del Carlino") hanno dedicato all'evento sono disponibili in rete solo per gli abbonati

Il Sole 24 Ore 27.7.05
un articolo, anche in questo caso, disponibile in rete solo per gli abbonati

"LIBERO", IL 27

ricevuto da Chiara Migliorini

Libero 27.7.05
La ricetta di Fausto: felici grazie a Marx

Pagina 11

ROMA La rivoluzione è la politica a livello più alto. Il comunismo è
promessa di libertà e uguaglianza. Il comunismo è liberazione: non può dare la felicità, ma può rimuovere tutti gli ostacoli che ci separano da essa.
E poi ancora teoria e prassi, Marx e Feuerbach, Rosa Luxemburg e Walter Benjamin. Fino a Pietro Ingrao. Di questo si è parlato ieri alla presentazione ufficiale della candidatura di Fausto Bertinotti alle primarie del centrosinistra che lo vedranno impegnato il 16 ottobre nella sfida con Romano Prodi. Una conferenza stampa anomala come il luogo prescelto: la libreria " Amore & Psiche", crocevia della cultura psichiatrica capitolina.
continua.

"IL MESSAGGERO" DEL 27.7

Il Messaggero 27.7.05
Mercoledì 27 Luglio 2005
CAMPAGNA CON I ”CREATIVI” DI VENDOLA
”L’erba voglio”, arma segreta di Bertinotti per le primarie
Il leader del Prc chiede ai suoi elettori di scrivere su migliaia di post-it i propri desideri per pesare di più nella stesura del programma.
di Claudia Terracina


ROMA Chi ha detto che «l’erba voglio cresce solo nel giardino del re?». Fausto Bertinotti rovescia l’ipocrita proverbio e fieramente afferma: «Io voglio». Invitando seguaci e simpatizzanti ad avere, appunto, il coraggio di «volere» un’Italia migliore, ma anche Bertinotti candidato premier dell’Unione. E quei suggerimenti saranno la forza con cui Rifondazione si presenterà alle trattative sul programma con gli alleati dell’Unione. Prodi, quindi, dovrà sudare per far prevalere, come annunciato, il suo punto di vista in caso di vittoria alle primarie. Il segretario di Rifondazione confida di «sperare nella provvidenza rossa», per battere Romano Prodi ed essere «il candidato della sinistra». Le idee di sinistra, comunque, dovranno contare. «Potrebbe succedere un miracolo», dice il segretario del Prc, evocando la vittoria di Vendola in Puglia.
Il suo manifesto elettorale recita «Bertinotti presidente» su un fondo giallo, come i ”post-it” che invitano gli elettori «a scrivere quello che vogliono». I desideri, «che più perentori saranno meglio è», potranno essere declamati ovunque, luoghi di lavoro, edicole, bar, cinema, teatri, oppure essere spediti per sms, mms, o via Internet nell’apposito sito, dove già si legge un ovvio «vorrei un’Italia migliore», un romantico «cambiare le cose, ma per davvero, senza paura», un edonista «avere più tempo per le cose che mi piacciono», un fideista «mio figlio non conosca guerra e terrorismo».
«Puntiamo a esaltare la sfida del popolo contro l’elite», spiega Silvio Maselli dell’agenzia ”Proforma”, la stessa che con il tormentone «Metti a Cassano» ha decretato il successo dell’attuale sindaco di Bari, Michele Emiliano, e di Nichi Vendola, «il diverso», miracolisticamente eletto presidente della Puglia grazie all’onda anomala dell’enorme partecipazione alle primarie. Bertinotti il 15 e il 16 ottobre punta al bis. «Quando uno compete lo fa per vincere, se no va a casa, non si può fare come se», chiarisce. E, dopo tutto, fa anche il gioco di Prodi che vuole «primarie vere». Ed ecco le percentuali che, secondo il leader del Prc, potrebbero decretare il suo successo e un’influenza sempre più forte sulla stesura del programma dell’Unione. «Alle elezioni prendiamo finora un 6 per cento, se consideriamo gli altri elettori dell'Unione si arriva ad un 12- prevede- quindi, sotto quella cifra si è sconfitti, sopra è andata bene. Sopra al 50 si vince».
E, a giudicare dal pubblico plaudente, accorso alla presentazione della campagna bertinottiana, acutamente ospitata dalla minuscola libreria romana ”Amore e Psiche”, in modo da far riempire la piazza antistante, al popolo di sinistra non sembra vero poter coniugare «l’erba voglio». Bertinotti, confortato dal poeta del calcio, l’italo-brasiliano Darwin Pastorin, d’altronde, «vuole» fortemente vincere, tanto che affida la sua campagna postal-internettiana ai creativi pugliesi che hanno fatto volare Vendola. Ma «vuole» anche stabilire le sue priorità nel programma dell’Unione. «No alla guerra, no alla precarietà sociale, più lavoro, più diritti, e via leggi come la Bossi-Fini, la riforma della scuola targata Moratti e la legge 30 sul mercato del lavoro». E se si deve parlare di sicurezza, il leader del Prc ricorda che «occorre essere sicuri dal terrore, ma anche dalla povertà». Se ne parlerà per tutta l’estate e, infine, il 24 settembre in una spettacolare convention che accompagnerà Bertinotti alle primarie.

SUL "CORRIERE DELLA ROMAGNA" del 27.7.05: di Donatella Coccoli

Dal “Corriere Romagna”, 27/7
Il segretario di Rc ha dato il via alle primarie
Bertinotti, la politica
e il problema della felicità
di Donatella Coccoli

ROMA - “La politica? Si deve porre il problema della ricerca della felicità. Non solo materiale”. Fausto Bertinotti ha dato il via ieri alle primarie in un luogo insolito. Il segretario di Rc ha infatti scelto la libreria Amore e Psiche (con centinaia di persone fuori) che fa capo alla ricerca di Massimo Fagioli, psichiatra che con i suoi libri ha demolito Freud fin dal ’70 e che conduce da trent’anni l’Analisi Collettiva. Così, ieri, dopo i primi enunciati della campagna (prima di tutto lotta per la pace, contro la precarietà e promozione dello spazio pubblico) affidata anche ad un sistema di post-it da riempire sotto la scritta “Voglio”, Bertinotti non si è sottratto alle domande dense di significati sia di giovani donne “nate”nella sinistra, sia di chi, come Giulia Ingrao, ha trascorso una esistenza nel comunismo. Cosa significano liberazione, emancipazione? Identità umana è solo benessere fisico? Bertinotti, ha risposto con passione concludendo che sono da comporre “prassi e teoria in una pratica collettiva di liberazione in cui le parole mancano ma in cui si intravedono già le lettere…”.

"IL TEMPO" DI MARTEDI' 26.7 E DI OGGI 27.7

una segnalazione di Claudio Saba

Il Tempo martedì 26 luglio 2005
Bertinotti e il chiodo fisso: le primarie
Oggi presenta la sua candidatura a Roma alla libreria «Amore & Psiche»


SEMBRA proprio che il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, non pensi ad altro che alle elezioni primarie. Oggi presenterà la sua candidatura alle consultazioni interne del centrosinistra di ottobre. Il luogo scelto per la presentazione e il giornalista che lo accompagneranno in questa fatica sono singolari. Bertinotti ha scelto infatti Darwin Pastorin, aristocratico giornalista sportivo, amante del calcio sudamericano e fustigatore dei costumi del calcio italiano. E la presentazione della candidatura si svolgerà nella libreria «Amore & psiche», che si trova nei pressi del Pantheon. Non è la prima volta che il segretario di Rifondazione comunista si avvicina a questa libreria. Nel novembre del 2004 lo stesso Fausto Bertinotti aveva partecipato al dibattito organizzato da questa libreria per presentare un suo libro. Giuliano Zincone aveva annotato sul Corriere della Sera del 10 novembre 2004 che il successo di quella presentazione non era merito di quella libreria, ma dello psicanalista Massimo Fagioli: «La moltitudine che applaude Bertinotti è proprio la stessa che frequenta i seminari di analisi collettiva guidati dal maestro». Se si guarda con attenzione alle ultime uscite di Bertinotti si comprende che le primarie sono il suo chiodo fisso di questi giorni. Domenica scorsa, Nichi Vendola ha fatto sapere che lo appoggerà alle elezioni primarie. Ma qual è l'obiettivo che si prefigge Bertinotti? Già lo scorso 20 luglio a Firenze lo stesso Bertinotti spiegava: «Il mio partito ha il 6 per cento del consenso alle elezioni, se la maggioranza dell'Unione pensa di avere il 51 per cento io mi riterrei sconfitto se raggiungessi un gradimento attorno al 12 per cento». Si tratta di una dichiarazione bellicosa da parte del candidato alle primarie, che invita anche altri candidati a farsi avanti per togliere consensi a Romano Prodi: «Se alle consultazioni primarie ci sono solo due candidati diventa solo un referendum». La realtà è che Bertinotti per queste elezioni punta in alto e chiede anche l'aiuto dei no-global ai quali vuole permettere il voto alle primarie. Non è un caso che nel dibattito del 20 luglio con Massimo D'Alema a Firenze abbia indicato anche i «Movimenti dell'Ulivo» oltre che «i partiti», tra i soggetti chiamati a votare in occasione delle primarie. E nonostante il Professore proprio ieri sia tornato a dire che chi vince le primarie detterà il programma dell'Unione, è fuori discussione che tanto più alta sarà la percentuale di Bertinotti, tanto più grande sarà il suo peso nella scrittura del programma.

Il Tempo 27.7.05
Fausto non molla «Voglio vincere»
di Paolo Zappitelli


ALLE primarie partecipa per vincere. Almeno così Fausto Bertinotti continua a ribadire in ogni incontro pubblico. Che poi ci creda davvero è un altro discorso ma il messaggio che il segretario di Rifondazione vuol far arrivare agli alleati dell’Unione e a tutta la sinistra radicale, di cui oggi è l’unico leader, è proprio quello di una sfida vera a Prodi. Non per niente la campagna elettorale, iniziata ieri alla libreria «Amore & Psiche» di Roma, ha come «manifesto» un «Voglio» scritto in grande e sotto, in rosso su uno sfondo giallo, «Bertinotti presidente». L’idea che il leader di Rifondazione vuole dare è quella di un post-it sul quale ognuno può scrivere quello che più gli sta a cuore, proposte, progetti, che andranno a confluire nel programma di Rifondazione. «Faremo una campagna elettorale che non sarà la solita campagna elettorale — spiega seduto davanti ai microfoni mentre fuori dalla sala strapiena si affollano un centinaio di persone stremate dal caldo — ma sarà una nuova forma di partecipazione. Cercherò di dare voce a un popolo capace di parlare un nuovo linguaggio. Moltiplichiamo i post-it dove lasciamo le nostre idee». Poi, per spiegare ancora quel logo, sceglie una battuta: «Se penso a Bertinotti presidente mi scappa da ridere, ma "Voglio" deve essere un gesto di ribellione. Iniziamo il nostro cammino da questo gesto di ribellione». A chi gli chiede se per Bertinotti ci sono punti irrinunciabili nel programma da presentare all’Unione spiega mellifluo che «punti irrinunciabili non ci sono, non ci possono essere perché c’è la ricerca di un’intesa». Però sicuramente Rifondazione considera come battaglia fondamentale quella contro la precarietà e, di conseguenza, «contro la legge Biagi, la Moratti e la Bossi-Fini». Ma anche la riforma della giustizia appena controfirmata da Ciampi non piace: «Dovremo sicuramente ricominciare da lì, per cambiarla e per restituire l’autonomia ai magistrati». Ma è sulla «battaglia» delle primarie che Bertinotti fa capire a Prodi che non scherza. «Quando si compete si compete per vincere. E allora se prendiamo sotto il 12 per cento è una sconfitta, se restiamo pari abbiamo tenuto i nostri voti, se andiamo sopra è andata bene e se prendiamo sopra il 50 per cento abbiamo vinto. E comunque noi confidiamo nella provvidenza rossa...».

"L'UNITÀ" 27.7

l'Unità 27 Luglio 2005
E Bertinotti s’affida alla provvidenza


Cita Marx, Feuerbach, Rosa Luxemburg e critica la politica di oggi, che «si è ridotta a fenomeno amministrativo», quando il suo compito è invece quello di «rispondere alla domanda di senso»: «La questione non è dove va lo Stato, ma dove va l’umanità». Fausto Bertinotti ufficializza la sua candidatura alle primarie e subito riserva un paio di sorprese. La prima: quella che doveva essere una conferenza stampa alla libreria romana “Amore e Psiche” si è rivelata un bagno di folla, con alcune centinaia di persone rimaste per un’ora e mezza sotto il sole per ascoltare da due casse messe fuori dalla porta il segretario del Prc. La seconda: per parlare di primarie parla del «comunismo come promessa» e della «rivoluzione come trascendimento», del «fondamentalismo di mercato» e della «divisione tra popolo e élite». Nella strada di fronte, chiusa al traffico, silenzio e applausi. Dentro la libreria si prendono appunti quando i discorsi si fanno meno complessi. «La ragione politica della mia candidatura è che l’Unione possa essere guidata da una donna o un uomo di sinistra. Meglio ora, se non ora domani». Valutazioni? «Sotto il 12% è una sconfitta, il 12% sono i nostri voti, di più è andata bene. Sopra il 50% ho vinto». Previsioni? «Si compete per vincere. Noi confidiamo nella provvidenza rossa». A curare la campagna è la stessa agenzia che ha contribuito alla vittoria di Vendola. Prima trovata: il post-it su cui scrivere quello che si vuole da «Bertinotti presidente» e da attaccare in giro. Lo slogan: «Guerre, privilegi, indifferenza, precarietà: se vuoi sconfiggerli, attaccali». s.c.

"LA REPUBBLICA" DEL 27.7

Repubblica 27.7.05
Prodi presenta "Il progetto per l'Italia": diventerà un programma di legislatura che impegnerà tutti
"Successo se supererò il 12%"
Bertinotti lancia la campagna per le primarie dell'Unione
(f.b.)

ROMA - Sono tanti, almeno trecento. Ascoltano per un´ora e mezza il verbo di Fausto dagli schermi allestiti fuori dalla libreria "Amore e Psiche". Applaudono, esultano, ridono e si beano delle citazioni di Rosa Luxemburg, Constantinos Kavafis, Walter Benjamin. Tanto che il loro "guru", lo psicanalista Massimo Fagioli, al termine dell´incontro sussurra in un orecchio a Bertinotti: «Ho tentato di conquistarli in tanti anni, ma ora sono tutti tuoi...». E´ la presentazione della candidatura di Fausto Bertinotti alle primarie dell´Unione, un evento cultural-mondano che richiama centinaia di ammiratori e (soprattutto) di "fagiolini" nella libreria di riferimento, a due passi dal Pantheon. L´apertura di una campagna di comunicazione aggressiva, curata dall´agenzia Proforma - la stessa che portò Niki Vendola alla vittoria in Puglia -, centrata su uno slogan molto semplice: «Voglio». Cosa? Ciascuno potrà suggerirlo nei post-it virtuali sul sito www. faustobertinotti.it, per dar vita a un collage di desideri da trasformare in programma elettorale.
L´obiettivo, spiega il segretario di Rifondazione, è quello di superare il 12 per cento di voti: «Considerando solo gli elettori dell´Unione, il 6% di Rifondazione vale il doppio. Quindi sotto il 12% si è sconfitti, arrivare al 12% significa prendere i tuoi, sopra il 12% è andata bene. Sopra il 50% si vince». L´ambizione del leader del Prc non arriva a tanto ed egli stesso ammette che a vedere scritto "Bertinotti presidente" sui volantini gli «scappa da ridere». Il traguardo è infatti un altro: «Dimostrare che l´Unione, come accaduto in Puglia, può essere guidata da un uomo o una donna di sinistra. E poi, far crescere un popolo di sinistra nel più grande popolo dell´Unione, far uscire questo popolo di sinistra dallo stato di minorità in cui finora è stato tenuto».
Impegni pesanti, per raggiungere i quali Bertinotti lancia alcuni temi capaci di solleticare il «popolo della sinistra»: anzitutto la pace, la lotta alla precarietà, l´abrogazione della legge-Biagi, della riforma Moratti e della Bossi-Fini sull´immigrazione. Oltre a questo il segretario comunista propone, «la restituzione del maltolto», ovvero «la sottrazione al mercato di alcuni beni comuni inalienabili», come l´acqua e la casa.
L´intera impostazione programmatica risente di una sorta di «messianesimo» politico («conta il tempo che resta, non quello che viviamo»), nella convinzione che «il tema della felicità non può essere espunto dalla politica» e che «la politica si è attorcigliata su se stessa, riducendosi a governabilità». Il segretario tuttavia non pone aut-aut agli alleati: «Quelli che propongo, a parte il rifiuto della guerra, non sono punti irrinunciabili. Il nostro scopo è la ricerca di un´intesa nell´Unione». Una cosa però Bertinotti ci tiene a chiarirla, ovvero che il vincitore delle primarie non potrà avere carta bianca sul programma: «Capisco che ci sia una pressione per risolvere con un colpo di scure questioni complicate, ma il programma si deciderà tutti insieme». Un piccolo risultato simbolico Bertinotti intanto l´ha già portato a casa. La folla assiepata di fronte alla libreria "Amore e Psiche" ha impedito ieri il transito della Lancia Thesis di Massimo D´Alema, costringendo il presidente dei Ds a scendere dall´auto e proseguire a piedi.
Romano Prodi ha annunciato invece che aprirà la sua campagna domani a Reggio Emilia. Ieri il leader dell´Unione ha presentato il "Progetto per l´Italia", la «carta d´identità» della coalizione (in otto capitoli) che dovrà essere sottoscritta da chi vorrà votare alle primarie.

Repubblica 27.7.05
IL PERSONAGGIO
Il lancio della candidatura nella libreria dello psicanalista Fagioli tra gli applausi di militanti e fan
Fausto abbraccia il Guru e s'affida alla Provvidenza rossa
Per il leader del Prc una grande cornice mediatica: il rituale di applausi, grida festose e foto scattate con i telefonini
Adorato dalle signore dei salotti
Dice di lui Suni Agnelli: "Si ama la politica e si finisce per innamorarsi di Bertinotti"

Filippo Ceccarelli


Dio li fa e poi li accoppia. Anche applicato a non credenti, o a persone «in ricerca», come potrebbero essere l´onorevole Fausto Bertinotti e il professor Massimo Fagioli, il vecchio proverbio non solo conferma la propria inesorabile certezza, ma si preoccupa pure di gestire l´accoppiamento, lo rende visibile, gli dà una cornice mediatica, gli monta attorno un rituale fatto di applausi, grida festose e foto scattate con i telefonini tanto dai rifondatori quanto dalla gran massa dei «fagiolini», come ormai da un quarto di secolo vengono chiamati nella sinistra romana i seguaci di Fagioli.
Con il che si va ad allestire la scena, usciti sgocciolanti come sommergibilisti dalla libreria-sauna "Amore e Psiche", sotto lo schioppo del sole, il Leader e lo Psicoterapeuta si abbracciano. Una, due volte, per la comodità dei fotografi. I vigili urbani hanno addirittura chiuso la strada. Bertinotti è pelato e indossa un abito chiaro, Fagioli ha una chioma fluente, autorevole, ma è vestito più sciolto, una camicia azzurra e occhiali da sole un po´ cattivi.
Le lingue lunghe della politica dicono che c´è lui, già guru di Marco Bellocchio, dietro la svolta neo-esistenzialista e non violenta di Bertinotti, e la riprova starebbe nel fatto che per lanciare - con accaldata scomodità, invero - la sua candidatura alle primarie, abbia scelto proprio quella libreria che Fagioli, cui i fans attribuiscono un genio quasi leonardesco, ha addirittura progettato e realizzato con archi e scale in legno chiaro, piuttosto elegante.
Fagioli, infatti, è un guru, un classico guru. Giovane e luminosa promessa della psicanalisi freudiana, già negli anni sessanta ne scosse le fondamenta guadagnandosi la disagevole, ma esaltante fama di eretico, che in seguito estese anche al marxismo. Fu scacciato dalla Spi e malvisto dall´ortodossia comunista, ma dalla sua aveva esperienza, fascino e carisma. Fece ricerca per conto suo, alla metà degli anni settanta ebbe un successo travolgente tra i giovani di sinistra, molti in via di disperato disincanto, che lo inseguivano in cliniche psichiatriche, università e conventi occupati, a migliaia, per farsi interpretare i sogni.
Era l´Analisi Collettiva, o psicoterapia di folla (gratuita, comunque), in pratica l´evoluzione dell´assemblea in senso introspettivo. I «fagiolini», imploranti, alzavano la mano e il Maestro sceglieva a quale domanda dare corso. Per dire il successo di quelle atmosfere, a un certo punto venne fuori pure una radio «fagiolina», con conferenze e telefonate in diretta. Arrivò la gloria, naturalmente, ma anche una stagione di polemiche. Ai tempi de «Il diavolo in corpo» Bellocchio fu duramente contestato dal produttore perché si portava Fagioli sempre sul set, come regista del regista, lasciandogli mettere bocca anche sul montaggio.
Vera, falsa o enfatizzata che fosse, la venerazione di parecchi pazienti, pure ribattezzata «massimo-dipendenza», finì per alimentare attorno a Fagioli e ai suoi fans una qualche sulfurea nomea di setta. Ma di tutto, com´è noto, i guru possono preoccuparsi, meno che di quella. Così, nel tempo, il Maestro ha continuato a scrivere sceneggiature per Bellocchio, come pure ha seguitato adoratissimo a guarire, a insegnare, a editare pubblicazioni, a disegnare mobili e ispirare architetti; si è pure fatto celebrare in un paio di convegni, uno dei quali divenuto autocentrico documentario; quindi ha girato un film tutto suo, «Il cielo della luna», per il quale ha scelto le musiche e recitato la parte di un barbone, per quanto muto, lasciando il ruolo dei protagonisti a due «fagiolini». E infine - qui viene il bello - Massimo Fagioli ha incontrato Bertinotti.
Il bello sta nella fantastica circostanza che anche Bertinotti è un po´ un guru. Certo: rispetto allo psicanalista se lo può permettere di meno, con sei correnti, tre solo trotzkiste, nel suo partito. C´è però da dire che «il Grande Fausto», come l´ha chiamato Liberazione il giorno del suo compleanno, è un santone a suo modo poliedrico, un seduttore adattabile, un poetico cacciatore di anime che sa sempre cogliere il momento.
Così, più che con gli impervi trotzkisti, vale la pena di vederlo all´opera nella sua intensa vita mondana: cortese, elegante, telegenico, pacato, con tanto di erre moscia e civettuola bustina portaocchiali. Come tale invitatissimo «prezzemolino», insieme con la simpatica moglie signora Lella, record di presenze a Porta a porta, premio Oscar del Riformista: «Si ama la politica - ha detto di recente Suni Agnelli - e si finisce per innamorarsi per Bertinotti».
Le signore, specie quelle dei salotti-spettacolo di una Roma al tempo stesso prestigiosa e sgangheratissima, vanno pazze per lui: e lui lo sa. E non c´è niente di male, non è reato frequentarle, tantomeno è peccato ritrovarsi con i reduci del Grande Fratello. E´ solo un po´ buffo, o surreale, o straniante, come in un film di Bunuel, veder così spesso Bertinotti in foto al fianco di Donna Assunta Almirante, o a Maria Pia Dell´Utri, sorridente con Valeriona Marini, Cecchi Gori, Romiti, Sgarbi e Marione D´Urso; oppure intervistato sulla fede da don Santino Spartià, comunque assiduo a casa Suspisio, immancabile a villa «La Furibonda» di Marisela Federici. E insomma tutto bene, ci mancherebbe altro, però il giorno dopo è curioso sentirlo parlare del «popolo», parola desueta, parola potente. Chissà se il popolo si divertirebbe pure lui a «La Furibonda» o a «La Città del Gusto».
Ad "Amore e Psiche", intanto, lo Psicologo è rimasto nobilmente in platea a fare sì-sì con la testa non appena il Politico dava segno di aver assorbito un linguaggio che si nutre ormai di «felicità», «premonizione», «desiderio», «promessa», «liberazione», «attesa». A un dato momento, deposti i vecchi attrezzi lessicali vetero-marxisti, Bertinotti ha pure invocato la «Provvidenza rossa». Fuori, dietro le vetrine, la gran massa degli adepti animava la strada con sorrisi e applausi. Dopo l´abbraccio, c´è il tempo per un´ultima domanda, con la speranza che non suoni troppo indisponente: «Scusi, Fagioli, ma chi è più guru: lei o Bertinotti?». E il Maestro, senza fare una piega: «E´ più guru Bertinotti». Ma forse, per una risposta più articolata, potrebbe non bastare un seminario.

sul web: APRILE on line

segnalato da Pino Di Maula

aprileonline.info 27,7.05

Bertinotti presenta le sue primarie
Centrosinistra. Il leader di Rifondazione spiega ragioni e contenuti della sua politica nell'Unione
Angelo Notarnicola


Fausto Bertinotti ha inaugurato ieri, in conferenza stampa presso la libreria "Amore & Psiche" del Prof. Fagioli, il suo primo comitato come candidato alle primarie dell’Unione.
Fuori dalla libreria più di 600 persone hanno atteso l’arrivo del segretario di Rifondazione Comunista, mentre all’interno erano presenti, oltre ad un cospicuo numero di giornalisti e ai ragazzi della "Proforma" (l'agenzia di comunicazione barese che ha firmato il successo di Nichi Vendola), alcuni parlamentari di Rifondazione, tra cui Franco Giordano, Roberto Musacchio, Elettra Deiana e Titti De Simone. Sopra la testa di Darwin Pastorin, editorialista del "Manifesto" che, seduto alla sua scrivania, attendeva Bertinotti per introdurre la conferenza stampa, era posizionato un post-it gigante con al centro, scritto in corsivo, un appariscente "Voglio" di colore nero. Sono circa 12,5 milioni i post-it, di dimensioni autentiche, sui quali chiunque avrà modo di scrivere il proprio desiderio. I bigliettini, come ha preferito definirli Bertinotti, saranno distribuiti in tutta Italia a partire da settembre dai comitati per le primarie e dalle federazioni provinciali del partito di Rifondazione comunista.
L’idea generata dallo staff di Proforma ha voluto simbolicamente sostituire in modo molto originale e poco dispendioso l’invadenza dei 6x3, finendo però per promuovere una campagna tanto simpatica quanto demagogica.
In attesa del proprio segretario nazionale, Franco Giordano e Titti De Simone si sono lasciati andare ad alcuni commenti: "Sono tutti terrorizzati", rideva sornione il parlamentare barese mentre parlava con un compagno; "Hanno paura di perdere" diceva, tra stupore e orgoglio, la giovanissima deputata.
In un clima di attesa messianica da parte della maggioranza dei presenti e di caldo appiccicoso per tutti, è apparso il segretario, senza giacca, con una camicia celeste, una cravatta chiara, abbronzato e sorridente. Bertinotti si è seduto accanto a Darwin Pastorin, ha dispensato sorrisi e scuse a Rina Gagliardi, si è sbottonato il colletto della camicia, ha allentato il nodo della cravatta, si è alzato le maniche e con alcuni cenni del capo ha fatto comprendere a tutti di essere pronto.
Dopo una breve introduzione di Pastorin, Bertinotti ha dato inizio alla sua retorica: "Uno dei rischi della politica è che si delinei una soglia, un punto di non ritorno tra l’élite e il popolo. Le primarie sono un’occasione per attraversare questa soglia. Piuttosto che le oligarchie è meglio che sia il popolo a decidere chi debba guidare una battaglia politica".
L’immagine del popolo che attraversava la voragine che lo divideva dalle élite per il solo mezzo del voto alle primarie è stata quanto meno suggestiva e accattivante, anche se un po’ troppo populista.
Bertinotti ha, poi, voluto ricordare l’importanza strategica di alcune organizzazioni, finendo per esprimere l'auspicio che queste, compatte, votino il suo nome: "Le primarie non decidono il programma ma solo la leadership, perché forze come l’Arci, la Cgil, la Fiom, il Tavolo della Pace, in caso di sconfitta, non possono essere escluse dalla preparazione del programma".
Successivamente il segretario del Prc ha dettato i tre punti fondamentali del suo programma: "Il primo elemento programmatico è la Pace. Penso che il mondo sia a rischio di autodistruzione, due mostri hanno preso corpo sulla globalizzazione capitalistica: la guerra e il terrorismo".
"A questo - ha proseguito Bertinotti - c’è solo una risposta possibile, quella della pace, di trasformare la guerra in un tabù. Su questa base ci si deve opporre all’avversario, non con le sue stesse armi, ma cambiando il paradigma della lotta, perciò siano la non violenza e il pacifismo l’orizzonte primo della nostra politica". "Cominciamo da qui – ha continuato il segretario di Rifondazione - dall’articolo 11 della Costituzione che vuol dire ritiro immediato delle truppe dall’Iraq". Non è forse debole una politica che fa di un metodo d'azione il primo orizzonte politico...?
Poi, Bertinotti ha detto: "Il secondo punto è desumibile dal fallimento delle politiche neoliberiste. Occorre costruire un nuovo corso, partendo dalla lotta alla precarietà, contro l’idea del primato del mercato, per un primato dell’ambiente, delle persone. Infine, per restituire ciò che le politiche neoliberiste hanno tolto, è necessaria la ricostruzione di uno spazio pubblico in cui gli individui possano contribuire a determinare il proprio destino".
Continuando il segretario del Prc ha parlato di diritto alla casa, della cancellazione della legge 30, della riforma Moratti, della legge Bossi-Fini e della riforma della giustizia se questa riuscisse a compiere l’intero iter legislativo.
Stuzzicato dall’intervento di un giornalista, Bertinotti ha affondato: "Competo per vincere, questa è una regola della competizione. Noi confidiamo nella provvidenza rossa". Fuori dalla celia, Bertinotti ha spiegato i suoi numeri: "Sopra il 12% è andata bene, sopra il 50% abbiamo vinto".
Il meglio di sé però lo ha riservato alla fine, quando stimolato dal romantico intervento di una giovane compagna, Bertinotti ha concluso con un inno alla rinascita del comunismo: "Il comunismo sconfitto nel ‘900 si ripropone perché quello che sembrava chiuso nel secolo scorso con la vittoria assoluta e schiacciante del capitalismo si è riaperto con il delirio, a cui ha portato la globalizzazione e con la nascita dei movimenti".
Si è chiusa così, tra due ali festanti di popolo che, post-it in mano ben compilato, ha pensato di colmare il divario che lo divide dall'élite partecipando alle primarie e di dare vita ad un nuovo comunismo votando Bertinotti. Evviva Fausto, il dispensatore di sogni di sinistra.

ANCHE "IL GIORNALE"...

Il Giornale 27.7.05
In mille per lanciare le primarie di Bertinotti
Roberto Scafuri

Roma. Sarà parolaio rosso o pifferaio magico, così sostengono i suoi detrattori. Ma il bello di Fausto Bertinotti, il segreto che ne fa il polo d'attrazione della sinistra, sta nel suo «volare alto». Non effetto involontario, ma oggi piuttosto perseguito e riconvertito dal leader rifondatore nel nocciolo duro della sua politica. Anzi, di una politica di sinistra che si proponga come forza di governo senza complessi di «minorità». Da possibile atteggiamento intellettualoide e distante, che ne potrebbe scaturire, esso diventa invece motivo profondo di vicinanza con la gente. Fausto «vola alto» e tocca i sentimenti di un popolo rosso che lo ascolta e lo comprende, anche a prescindere dai narcisismi dialettici e dalla miriade di citazioni colte. Fausto gioca d'astuzia e raffinatezza, gigioneggia, e l'uditorio ne percepisce a pelle l'afflato «alto», l'orizzonte non comune. L'apprezza.
Far toccare con mano l'emozione della ragione, ecco l'alchimia. Bertinotti la propone per le primarie dell'Unione, e non poteva che raffigurarla in una libreria del centro di Roma dal nome appropriato, «Amore e Psiche». Uno scontato incontro con i giornalisti che diventa inconsueta «occupazione» di suolo pubblico da parte di un migliaio di curiosi e passanti, di amici della libreria e simpatizzanti di Fausto. I vigili costretti a chiudere il tratto di strada e le ragazze sedute sul selciato di fronte a una vetrina. Un professore psichiatra, Massimo Fagioli, fa il padrone di casa, e due schermi diffondono per strada le domande del pubblico che ha deciso di fare la sauna assieme al segretario all'interno.

SUL "CORSERA" DI OGGI

Corriere della Sera 27.7.05
Niente bandiere rosse ma post-it
Con Fausto l’«eretico» Fagioli
Fabrizio Roncone


ROMA - Questa bisogna raccontarla dalla fine, da quando Fausto Bertinotti esce fuori a benedire la folla - «inattesa, giuro: inattesa» - dei militanti che hanno ascoltato e visto sui megaschermi, certi pure davvero in ginocchio, sui sampietrini di piazza della Minerva, nel catino di umidità e passione politica che avrebbe stroncato chiunque ma non loro, nelle due ore che il segretario di Rifondazione comunista s’è preso per spiegare a tutti la sua candidatura alle primarie dell’Unione. Bertinotti con la cravatta slacciata, con la camicia zuppa di sudore eppure sempre molto sicuro, non stanco, sempre molto sorridente e con accanto addirittura Massimo Fagioli, psicanalista eretico e discusso, affascinante, provocatorio e misterioso: uno che negli anni Settanta seppe intercettare le disperazioni di molti studenti e intellettuali delusi dai sogni rivoluzionari, uno che dopo aver invitato a smascherare «quell’imbecille chiamato Freud», adesso, sulla porta della libreria «Amore e Psiche», da lui ideata e voluta tra questi vicoli del centro storico, sorride alla folla e urla: «Votatelo! È vostro!».
La folla, che ha costretto i vigili urbani a una chiusura imprevista del traffico, ondeggia: ci sono fischi di euforia e grida di evviva, anche se si nota - e certo la noterà pure lo stesso segretario - l’assenza di pugni chiusi, di bandiere rosse e insomma di quell’atmosfera tipica di certe riunioni della base di Rifondazione. Lo sguardo scorre sui ranghi delle signore abbronzate e così, nel piccolo trionfo di camicie di lino e Lacoste scolorite, sembra di intuire che a questa «festa di candidatura comunista» sia presente anche buona parte del popolo girotondino orfano di Nanni Moretti.
Per questo è stato opportuno cominciare dalla scena finale: per capire meglio certi calcoli, non casualmente ottimistici, di Bertinotti. «Come finiranno le primarie? Sotto il 12%, mi sentirei sconfitto. Sopra il 50%? Beh, avrei vinto». Tutti però capiscono che lui, a vincere, non ci pensa per niente e invece è forse a un 20% pieno, che mira. E ci mira ignorando gli altri candidati e sfoggiando un’idea mediatica sorprendente: Bertinotti chiama ciascun elettore a riempire il vuoto che c’è su ognuno dei due milioni di post-it - i foglietti adesivi gialli che vengono comunemente usati per prendere appunti - che verranno distribuiti e sui quali c’è scritto: «Voglio». Campagna elettorale senza tanti comizi e con la richiesta di frequentare il sito www.faustobertinotti.it. Gestisce l’agenzia Pro-forma. Il direttore creativo, Giovanni Sasso: «Abbiamo già fatto vincere Vendola in Puglia...».
Aggressivi, positivi e giovani. Nessun volto antico neppure in platea, se si escludono quelli autorevoli di Giulia Ingrao, sorella di Pietro, e del regista Citto Maselli. Bertinotti dice che con Prodi «non ci sono problemi: come lui sa, le primarie influenzeranno il programma dell’Unione, ma certo non lo faranno».
Altri applausi e Darwin Pastorin, il giornalista sportivo chiamato a moderare la conferenza stampa, chiude come aveva iniziato: «Fausto continua a sembrarmi Obdulio Varela». Questo Varela era il capitano dell’Uruguay, ai mondiali di calcio del 1950. Il giorno che dovettero giocarsela con il Brasile, con un Brasile pazzesco, davanti a centomila tifosi nello stadio Maracanà di Rio de Janeiro, fu appunto Varela a decidere di provarci. «Siamo meno forti, ma possiamo vincere». Vinsero 2 a 1.

L'ARTICOLO DELLA "STAMPA" DI OGGI

La Stampa 27 Luglio 2005
Antonella Rampino


ROMA.«Sono un uomo che non ha mai messo la cravatta prima dei cinquant’anni...». Ecco, la frase d’inizio dell’autobiografia senza rete alla quale Fausto Bertinotti sta lavorando e che sarà diffusa in tutte le edicole d’Italia, vera arma segreta durante le primarie - stesso autore, Cosimo Rossi, stesso editore, la Manifesto Libri, che fecero il successo di Nichi Vendola in Puglia -, è la più lampante, visiva differenza con Romano Prodi. Un leader che toglie la cravatta solo quand’è sotto sforzo, in bici o per fare pedalare i segretari della sua (sin qui) litigiosa coalizione. E difatti, uno stava in giacca e cravatta tra gli stucchi rococò di Piazza Santi Apostoli per aprire la campagna per le sue primarie sventolando lo scalpo più ambito, la «carta d’identità dell’Unione», il programma-quadro sottoscritto da tutti i segretari del centrosinistra. L’altro, Bertinotti, accaldato al limite della polmonite nella calca festosa di una particolare libreria del Pantheon, «Amore e Psiche», dove si radunano i «fagiolini», ovvero i seguaci dello psicoterapeuta Massimo Fagioli, un coltissimo signore ispiratore di Marco Bellocchio, ma capace di alzare le spalle se sente parlare di Freud o Basaglia, «mica son modi di curare la malattia mentale, quelli». Bertinotti fra i «fagiolini» va fortissimo: è l’unico capace si sostenere le loro conversazioni a base di Marx e Psiche.
Era uno spettacolo, ieri, vedere la contemporanea partenza delle primarie, che l’uno, Prodi, chiama al singolare, calcando l’omogeneità col prototipo americano (infatti il regolamento d’attuazione sembra un capitolo di carta costituzionale). E l’altro, invece, al plurale. Per sottolineare che di candidati non ce n’è uno solo, il vincitore atteso, ma più di due: «Sennò, che primarie sono?». Per carità, Bertinotti è politico visionario, ma non si fa illusioni: «Il 12 per cento è il minimo. Sopra, vado bene. Sotto, ho perso. Se faccio il 50, ho vinto. che dire, spero nella provvidenza rossa...». Da Prodi, ovviamente, nessuna previsione. Anzi, l’atteso vincitore chiariva: «Mi muoverò con cautela, adesso, da leader dell’Unione, così la competizione alla primaria sarà vera per tutti i competitori». Che come è noto sono Prodi, Bertinotti, Di Pietro, Pecoraro Scanio, i cui nomi l’elettore delle primarie troverà sulla scheda in un ordine che uscirà da un sorteggio. E intanto, per carità non per oscurare Prodi a Santi Apostoli, ieri c’era in campo pure Rutelli: da giorni, indossa un bel paio di calzoni rossi, e da Largo del Nazareno, contestualmente a quanto accadeva a Santi Apostoli e dalle parti del Pantheon, annunciava «massima mobilitazione della Margherita per Prodi», aprendo più seggi possibili. E ricordando al cronista che all’ultima discussione, quella al conclave di San Martino giovedì scorso, s’era alzata la voce proprio di Rutelli e del mastelliano Fabris: «Non sarà mica che si vota solo nelle sezioni della Quercia...».
E dunque, a quel che s’è capito, la campagna per le primarie di Prodi vedrà i fuochi d’artificio a chi farà di meglio e di più tra Margherita e Quercia, mentre Rifondazione giocherà la carta del minimalismo di concetto: campagna «post-it» quella di Bertinotti, che non riesce in verità nemmeno a ricordare il nome del foglietto giallo incolla-e-scolla sul quale ieri ha invitato tutti i suoi sostenitori a scrivere cosa vorrebbero nel programma dell’Unione. Poiché è «voglio» il lay-out, il messaggio forte che gli han trovato i suoi spin-doctor, convinti che di desideri e bisogni politici, a sinistra, ce ne siano a bizzeffe. Bertinotti ha accettato, forse anche perché, come si dice, l’erba voglio non cresce neanche del giardino del re, è il massimo dell’ambizione, insomma. Ma su quanti di quei «voglio» finiranno davvero nel programma per ora è un dubbio fugato: Prodi ha detto chiaro e tondo che «il programma si fa insieme». A dicembre, come stabilito. Ma dentro la «cornice» della carta d’identità dell’Unione. Che finalmente ieri è stata data alle stampe e alla stampa, anche se se ne sapeva già tutto. La Costituzione va tutelata, ma adeguata alla modernità. L’euro e l’Europa non si toccano. I diritti civili di tutti van rispettati, e anche ampliati (con i pacs, che però non si nominano). E via dicendo. Però Bertinotti continua a sperare nel voto agli immigrati, anche per le primarie. Ed è un po’ deluso: «E’ vero che nel documento c’è la difesa della laicità dello Stato. Ma quella discussione tra noi su questo punto, arrivata a lambire perfino divorzio e aborto, quella proprio non me l’aspettavo». Il segretario allarga le braccia: speriamo bene...

martedì 26 luglio 2005

sul web"ITALIA-TV": un'Ansa nella notte del 26.7

http://www.italiatv.it/storacetv/comunicati/vediitatv.php?id=4944

italiatv.it 26.7.05 - 23:57
BAGNO DI FOLLA APRE CAMPAGNA PRIMARIE DI BERTINOTTI
ansa -


Guarda una bambina in braccio al padre e fissandola negli occhi le dice: ''Mi rivolgo a te, tu rappresenti il nostro futuro''. Poi rivolgendosi alla folla che non smette di applaudire lancia una provocazione: ''Meglio di cosi' non poteva andare, se considero questo allora posso anche dichiarare chiuse le primarie''. E' visibilmente commosso Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista, uscendo dalla libreria 'Amore e Psiche' l'originale palcoscenico da cui il leader del Prc lancia la sua candidatura alle primarie dell'Unione. La strada viene chiusa al traffico, alcuni maxi schermi sono posizionati all'ingresso della libreria e una folla di militanti, sfidando il caldo e la lunga attesa, rimane in piedi solo per sentire il Segretario. ''Siete venuti qui per ascoltare come si svolgera' la campagna elettorale? Per sapere quali sono i temi ed il programma? - chiede Bertinotti alla folla - In realta' oggi qui avverra' il contrario, sono io qui ad ascoltare voi, i vostri suggerimenti quello che 'volete' e non che 'vorreste' ''. Non e' un gioco di parole, ma il leit motiv della campagna elettorale con cui il leader del Prc si prepara a ''sfidare'' gli altri candidati, primo tra tutti Romano Prodi. Sara' dunque un ''work in progress'', un crescendo di suggerimenti. Ma come fare a far sentire la propria voce? Nessun problema, per i nostalgici dei suggerimenti scritti sui bigliettini bastera' prendere un post it giallo (le istruzioni sono spiegate nel sito www.faustobertinotti.it) e scrivere cio' che si vuole, oppure per i seguaci della tecnologia sara' possibile inviare sms e mms direttamente ai numeri messi a disposizione dal comitato organizzativo. Per chi invece non sa cosa scrivere, no problem. E' lo stesso segretario che incalzato dalle domande dei giornalisti presenti all'incontro getta le fondamenta su cui si costruira' il programma per le primarie. Un Bertinotti che parla a 360 gradi di programma dell'Unione, immigrazione, alleati e che poi, allontanandosi dai temi prettamente politici, quasi in modo accademico, si sofferma a parlare di religione, stupendosi 'di come ormai si sostituisca alla politica''. ''Credevo che l'epoca delle ideologie si fosse conclusa con la fine degli anni 70 - riflette Bertinotti - ed invece mi rendo conto che oggi si cerca di sostituirle alle idee politiche. Ma dove sta andando lo Stato e la sua organizzazione?''. Parla di religione, cita Marx e Rosa Luxemburg per discutere dell'alienazione della politica ma poi, riferendosi ai temi piu' attuali, Bertinotti, non usa metafore, punta direttamente il dito sulle leggi approvate dall'attuale Governo. ''Come si fa a risolvere il problema dell'immigrazione con una legge come la Bossi-Fini'', si interroga, ''e poi pensiamo alla precarieta' dei nostri lavoratori ed a quello che ha fatto Berlusconi... se bisogna fare una lista delle priorita' allora direi che i primi tre punti sono: abolizione della riforma Moratti, della Bossi - Fini e la legge 30''. Parole che si confondono con l'applauso della folla, uno dei piu' lunghi, ma niente in confronto al plauso che appoggia le critiche rivolte dal segretario di Rifondazione alla riforma Castelli fresca di promulgazione da parte del Capo dello Stato. ''Ciampi ha fatto il suo dovere - chiosa il segretario - e' stato coraggioso, ma sul tema della giustizia noi dovremo ricominciare da capo, pensare alla situazione dei detenuti e considerare l'amnistia come una soluzione al problema''. L'ultimo affondo e' per il pacchetto sicurezza varato dal Governo giudicato''contro le liberta' democratiche'', ''il terrorismo - incalza Bertinotti - si combatte con la difesa dello stato di diritto''. E poi, prima di andar via, l'ultima provocazione ''candidiamo Giulia Ingrao alle primarie'', solo un pretesto che il leader del Prc usa per ringraziare Pietro Ingrao promotore di un appello rivolto ai militanti affinche', scrive l'ex direttore dell'Unita' ''con Bertinotti vincitore nell'Unione si torni a parlare ''la lingua della sinistra''.

MARTEDÌ 26 LUGLIO, alla Libreria "AMORE E PSICHE"i due articoli citati durante l'incontro con Fausto Bertinotti

Liberazione di Domenica 24.7.05
Lettere
«Perché volete tornare al comunismo?»
Per mantenere una promessa che non è stata mantenuta

Onorevole Bertinotti, sono una ricercatrice universitaria, madre di quattro figli, che nei giorni scorsi si è trovata a parlare con i due più piccoli (10 e quasi 8 anni) di alcuni avvenimenti della storia del nostro paese, della guerra e della pace, del nazismo, del fascismo e del comunismo, nei modi e nei termini più semplici e comprensibili per una bambina e un bambino dell'età dei miei. Alla fine della chiacchierata mi stato chiesto quali sono e a che cosa servono i partiti politici (o meglio "le persone che litigano sempre in televisione") e al momento di nominare il partito del quale lei è segretario, la domanda secca e dura, come solo la logica ferrea dei bimbi sa formulare, è stata: «perché vogliono tornare al comunismo?». Ho subito pensato di tagliare la testa al toro con un perentorio «perché non hanno saputo o voluto ascoltare l'insegnamento della storia», ma poi ne sono venuta fuori proponendo di girare la domanda a lei che, per semplificare al massimo, ho descritto come una sorta di "capoclasse di turno". Devo dire che i bambini si sono esaltati all'idea: abbiamo cercato insieme su internet il suo indirizzo e-mail ed eccoci qua in attesa della "sua" risposta (ingenuamente con e come i miei figli voglio sperare che non sarà quella del "bidello di turno") che mi auguro arrivi perché, altrimenti, i bambini, uomini e donne del futuro, non solo continueranno a pensare che i politici sono "quelli che litigano sempre in tv", ma anche quelli che non sanno dare risposte e poi… cosa altro mi dovrei inventare per giustificare il silenzio del "capoclasse"?

Francesca Lardicci, Clelia e Edoardo Pisanti Pisa

Care e cari Clelia, Edoardo e Francesca, anch'io avrei la tentazione di rispondere alle vostre domande tutto d'un fiato, con una sola frase, come questa "vogliamo tornare al comunismo per mantenere una promessa che non è stata mantenuta". La frase non è mia e non è la prima volta che la uso. L'ho presa a prestito da un filosofo contemporaneo che abbiamo molto amato e che ci ha lasciato recentemente, Paul Ricoeur. La utilizzo spesso perché la filosofia quando è veramente grande si fa capire anche da un bambino. Il filosofo francese soleva dire che rifondare significa cercare di mantenere una promessa che è stata delusa. Il nostro partito si chiama Rifondazione comunista. E' nato e si è dato quel nome proprio per cercare di mantenere quella promessa. Quella frase perciò condensa in una mirabile sintesi la nostra vocazione e il nostro programma di fondo.

Ma so bene che non me la posso cavare così. Questa è solo una giusta premessa, ma la risposta è più complicata. Lei, Francesca, ma anche voi, Clelia ed Edoardo, avete ragione: ci sono state delle repliche della storia, anche molto dure. Perché dunque continuare ad insistere? Non potrebbe darsi, in altre parole, che la promessa non sia stata mantenuta perché non poteva essere mantenuta, perché era una cattiva promessa? Perché il comunismo era un'idea fin dal suo inizio sbagliata o irrealizzabile? Sono domande che valgono una vita e non di una persona sola, ma di intere generazioni ed io non posso e non voglio sottrarmi ad esse.

La cosa più facile da spiegare è perché continuiamo ad insistere. Basterebbe guardare il mondo di oggi. Avete parlato tra di voi di guerra e di pace. Mentre vi scrivo sono tempestato dalle terribili notizie che giungono da quella famosa località turistica dell'Egitto, dove il numero dei morti si allunga di minuto in minuto. Dietro quell'attentato, e quello di due settimane fa di Londra, e quello di un anno fa a Madrid, e quello dell'11 settembre a New York e altri ancora, vi è un disegno politico, quello del terrorismo, che agita strumentalmente la credenza nell'Islam e la condizione di miseria nella quale vivono tantissime persone in Asia o in Africa, per provocare distruzioni e uccisioni, per condurre una guerra contro l'umanità.

Ma prima ancora che il terrorismo portasse i suoi terribili colpi e indipendentemente da esso, il mondo non viveva in pace. Anzi era, ed è, percorso da una guerra infinita, che non aspetta neppure un pretesto - Paride che rapisce la bella Elena o un giovane studente serbo che uccide un arciduca austriaco -, fatta di molte guerre lontane e vicine, nelle quali a differenza di un passato che voi, bambini, potete conoscere solo sui libri, non muoiono soldati o guerriglieri, ma, per oltre il 95% dei casi, persone civili, tra cui molte della vostra stessa età. Un mondo nel quale oltre due miliardi di persone vivono con meno di un euro al giorno. Nel quale molte popolazioni sono prive di cibo e di acqua, non possono mandare i loro figli a scuola né curarli da malattie, anzi sono costrette a inviarli al lavoro, quando ce n'è. Nel quale tre persone possiedono più ricchezza di quanta ne possa produrre un intero stato africano popolato da milioni e milioni di persone (ho detto tre persone, non mi sono sbagliato; una di queste è quella che possiede i diritti dei sistemi che permettono al computer di casa vostra ed al mio di funzionare). All'inizio del secolo scorso, il Novecento, la differenza tra i paesi più poveri del mondo e quelli più ricchi era di uno a tre, ora è di uno a settanta e oltre, se non ricordo male. Ma se non mi credete, e non mi offendo affatto, cercate su internet, visto che ne siete espertissimi, cosa vi dice il Rapporto sullo sviluppo umano redatto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e lì troverete cifre e analisi ancora più precise sulle grandi ingiustizie sociali del nostro tempo.

Queste guerre, queste ingiustizie sociali, queste inconcepibili differenze che segnano la nostra epoca non sono il prodotto del comunismo. Anzi quest'ultimo ha cercato di cancellarle, e casomai gli si può imputare di non esservi riuscito o di averlo fatto solo in parte creando al contempo altri problemi. Se il mondo è così mal formato questa è responsabilità del sistema dominante, il capitalismo, la globalizzazione capitalistica, la logica dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sull'ambiente e sulla natura per la ricerca di guadagno. Ora che il cosiddetto sistema comunista è crollato, questo è più evidente di prima.

Ecco allora perché insistiamo, perché non possiamo tollerare che la spirale tra la guerra e il terrorismo metta a rischio il pianeta e la vita delle generazioni presenti e future, perché non possiamo accettare che la logica della sopraffazione costringa alla sofferenza, alla povertà, all'assenza di diritti e di libertà la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Non siamo soli a pensarla così e ad agire di conseguenza. Nel mondo e in ogni paese c'è un grande movimento contro la guerra e il neoliberismo, che pratica la pace e si oppone a ogni forma di terrorismo. Da quel movimento ci aspettiamo le risposte al futuro dell'umanità. Assieme vogliamo costruire un'altra società, un altro mondo nei quali a tutte e a tutti siano date le stesse possibilità di vita e dove non si possano determinare simili abissali disuguaglianze e sopraffazioni, fino alla distruzione fisica delle persone e dove invece la libertà di ognuno non finisca dove comincia quella dell'altro, ma si sviluppi assieme a quella dell'altro. Non riesco a trovare un altro termine che non sia quello di comunismo per definire tutto ciò.

Tuttavia comprendo che voi mi potreste incalzare con un'altra domanda. Ma se il comunismo che c'è stato anziché creare ciò che tu dici ha provocato altri guai, non era forse sbagliato fin dall'inizio? E allora, forse, non dovremmo percorrere altre strade per cambiare un mondo che non ci piace?

Certamente la storia del tentativo di realizzare il comunismo - quello che spesso chiamo con un'altra espressione presa a prestito: il tentativo dell'assalto al cielo - è segnata da molti errori, alcuni fatali. Le donne e gli uomini che l'hanno percorsa hanno pensato di potere conquistare il potere nello stato e attraverso questo di cambiare la società. E' successo il contrario, cioè che la logica del potere ha cambiato quegli uomini, spesso spingendoli a governare in modo autoritario e violento. Quella esperienza ci ha anche dimostrato che non basta la libertà da, cioè dal bisogno, dalla fame, dalla miseria, ma ci vuole anche la libertà di, cioè di esprimere il meglio di sé stessi, di costruire delle nuove esperienze di vita sociale, di praticare concretamente la libertà per tutti. Ci ha dimostrato che non si possono separare i mezzi dai fini, non si può pensare di essere i liberatori dell'umanità e però nel frattempo soffocare quella di chi ci sta accanto. Ci ha dimostrato che non esiste una verità assoluta alla quale uniformare la vita degli uomini secondo uno schema predefinito, ma che la ricerca della giustizia e della libertà avviene ogni giorno e ogni giorno avviene rimuovendo resistenze e ostacoli, a cominciare dalle nostre debolezze e dalle nostre pigrizie. Per questo la definizione di comunismo che amo di più è quella celebre di Marx che lo definiva come il movimento che abbatte lo stato di cose presente. Il che significa che esso non potrà mai esaurirsi con l'instaurazione di un nuovo ordine sociale e statuale, ma sarà sempre una tensione costante di tutti gli uomini verso la giustizia sociale e la pace.

Per questo si può essere comunisti solo se si nutre una grande fiducia nell'umanità nel suo complesso e contemporaneamente un sano scetticismo nei confronti di sé stessi. Se si è generosi con gli altri ma severi con sé. Ma per avere fiducia nell'umanità bisogna imparare a conoscerla. A conoscerla concretamente, voglio dire.

Questo è il piccolo grande insegnamento che ci viene dalla straordinaria esperienza degli zapatisti del Chiapas. Essi ci dicono che bisogna camminare domandando. Cioè, fuori di metafora, che non ci si può fidare delle grandi idee, ma bisogna metterle alla prova nel confronto con la realtà, sempre e continuatamene, e sapere che questa non è materia inerte ma fatta dei sentimenti, delle aspirazioni, dei desideri delle persone che ci circondano. Se noi vogliamo che la nostra ricerca di un nuovo comunismo non finisca in polvere o che si risolva nel suo contrario, dobbiamo abitare senza riserve e senza risparmio la società del nostro tempo e non rifugiarci mai sulla torre dei nostri ideali.

Cari Clelia ed Edoardo voi avete la fortuna di essere nati in una famiglia che vi apre una finestra sul mondo. Potete fin da piccoli discutere di grandi cose e non siete distratti dal problema di come fare a mangiare tutti i giorni. E' una buona condizione di partenza. Il mio augurio è che non la sentiate né come un privilegio né come una colpa, ma come il punto d'avvio per un lungo cammino per costruire un mondo diverso e possibile. Non saranno né i bidelli né i capoclasse a dirvi dove e come andare, ma la vostra stessa capacità di entrare in sintonia con le sofferenze e le speranze delle persone intorno a voi.

Liberazione Domenica 24.7.05
Prima pagina
Il Fenomeno ZP, un socialista senza marxismo, un europeo che dice no alla chiesa e agli Usa
Viaggio nella Spagna governata da José Luis Rodriguez Zapatero
In un anno e mezzo di governo sono già tante le leggi innovatrici approvate.
Quasi tutte riforme a costo zero, ma indicazioni forti, decisioni simboliche e concrete
Il "socialismo" gentile di Rodriguez Zapatero
Ritanna Armeni


Madrid. Se ascoltiamo i discorsi o leggiamo le interviste di Zapatero non troveremo mai un accenno alle classi o alla lotta di classe; non scopriremo una parola contro la borghesia o l'aristocrazia, né un accenno al proletariato. Non lo sentiremo mai parlare di sfruttamento. Niente di tutto questo. Il socialista José Luis Rodriguez Zapatero, figlio di antifascisti, nipote di un oppositore ucciso dal regime, premier spagnolo, inaspettato, ma oggi solido e amato, non pronuncia le parole della tradizione, e appare infastidito da ogni domanda ideologica. Lui non si pone il problema di riforme che superino più o meno gradualmente l'economia di mercato. Né pensa che questa in sé sia una brutta cosa. Le sue priorità, le sue discriminanti sembrano scartare rispetto alla tradizione del socialismo europeo e mondiale. La aggirano. Lui dice che le questioni si trattano volta per volta, senza giudizi preventivi. Senza ideologie che ne precostituiscano le soluzioni.
Da qui, da queste elementari constatazione bisogna partire per cercare di capire che cosa è il socialismo del leader spagnolo.

Qual è l'idea centrale del socialismo di Zp, come il premier viene chiamato dai giornali spagnoli? E soprattutto sopravvive in lui un'idea di socialismo? E' evidente che il socialismo che mette al suo centro l'economia e la struttura per criticarla e superarla non fa parte del suo bagaglio culturale. Anzi rispetto a quel socialismo Zp è piuttosto critico. La sua idea forza appare piuttosto la "Democrazia" strumento fondamentale per ridurre, ridimensionare, riportare a sopportabilità e, se è possibile, cancellare le forme di dominio presenti nella società. Perché questo è il problema. Nella società esistono molte forme di dominio a cominciare da quella degli uomini sulle donne e queste si possono superare solo con un continuo, costante e incessante processo democratico.

In una intervista a Le Monde, concessa nei mesi successivi alla sua designazione a primo ministro, ha detto: "La sinistra ha dimenticato la società e il funzionamento democratico. Ogni passo verso una maggiore democratizzazione per la parità fra i sessi o per una maggiore partecipazione, per esempio nelle organizzazioni non governative, nel dominio delle decisioni politiche ed economiche apre la possibilità di società più giuste. E questa la grande sfida del socialismo del 21esimo secolo. " E ha concluso per rendere più chiaro il pensiero: " E' più efficace fare dei programmi di discriminazione positiva per avere più donne scienziate, che aumentare le tasse o ridurre l'orario di lavoro a 35 ore".

C'è chi pensa fra gli intellettuali che circondano il primo ministro e ne approvano la politica che il socialismo sarà un approfondimento, un passo ulteriore e successivo a quello della piena democrazia. Che esso verrà in un futuro e che, così come non c'è socialismo senza democrazia, inevitabilmente non possa esserci democrazia senza socialismo. Può darsi. Sta di fatto che per ora Rodriguez Zapatero preferisce puntare tutto sulla prima.

Se nei discorsi e nelle proposte del premier spagnolo non appaiono più le parole della tradizione quali sono quelle nuove che disegnano il socialismo senza marxismo di ZP? Non è difficile trovarle. Sono declinate e ripetute con enfasi, convincimento e passione nei suoi discorsi. Ma soprattutto - questa la grande novità nella politica e fra gli uomini politici del pianeta - sono praticate con una ossessiva coerenza. Democrazia si è detto. E poi parità e laicità. E ancora libertà, pluralismo, solidarietà, protezione dei deboli, dialogo. E pace.

Ogni legge approvata dal parlamento spagnolo in questo anno e mezzo di legislatura è la messa in pratica di queste parole. Ritiro delle truppe dall'Iraq, legge contro la violenza sessuale, matrimonio gay, riforma della Tv pubblica e di quelle private, proposta di togliere la parola "guerra" dalla Costituzione, ridimensionamento del potere della Chiesa cattolica, legge sull'immigrazione, divorzio veloce. Quasi tutte riforme a costo zero, ma indicazioni forti, decisioni simboliche e concrete. Una declinazione inflessibile delle regole di una società in cui devono essere eliminate le forme di dominio. Regole che qualche volta sfiorano il mercato, ma che non intaccano mai quelle dure leggi dell'economia che anche in Spagna si fanno sentire. Regole che toccano però (eccome) altre odiose forme di dominio. Il socialismo per Zapatero non è soprattutto cambiamento della struttura economica di un paese. Anzi per il premier spagnolo chi la pensa così sbaglia ed è condannato all'immobilismo. Lui preferisce agire su altri terreni. Ce ne è abbastanza per definirlo - come fa parte della sinistra italiana - revisionista, moderato, illuso, radicale e magari anche pericoloso. Forse. Oggi, a solo un anno e mezzo dall'inizio del suo governo, ogni conclusione anche la più negativa, è ancora possibile. A patto di non dimenticare che questo moderato socialista non marxista ha rotto in nome dei principi e delle parole del suo "socialismo" con i due poteri forti del nostro pianeta: gli Usa e la Chiesa cattolica.

Né Blair, né Schroeder, né Jospin. E neppure Felipe
La sua "via" quella che ormai appare delineata non è né quella di Blair, né quella di Schroeder né quella di Jospin. E non è neppure quella di Felipe Gonzales che ha modernizzato, ma non completamente democratizzato la Spagna.

E' chiaro che Zp ritiene il socialismo francese perdente e i tentativi dell'ex primo ministro Jospin evidentemente falliti. Quel socialismo, che aveva tentato riforme importanti, che aveva cercato di salvaguardare le sicurezze dei cittadini francesi, ha perduto, aggredito dai grandi problemi dell'insicurezza sociale, della disoccupazione della globalizzazione.

E' evidente che Zp guarda con distacco e anche con malcelata critica a quel che rimane delle aspirazioni socialdemocratiche di Schroeder, frustrate nel ridimensionamento dello stato sociale, nella riduzione dei salari, nei cattivi rapporti col sindacato, nella caduta del consenso. E giudica quella socialdemocrazia troppo economicista, poco moderna, poco capace di comprendere le nuove realtà sociali e di rivolgersi al cittadino.

Quanto a Blair, il discorso è più complesso. Molti hanno voluto vedere una somiglianza fra i due leader, forse nella ricerca di una "terza via" che accetta l'economia di mercato, e vuole modernizzare il welfare e nella insofferenza nei confronti delle strade che i socialisti europei vorrebbero seguire nel tentativo di moderare la globalizzazione. Ma le somiglianze, pure importanti, si fermano qui. La "terza via" di Blair è il tentativo di adeguarsi alla globalizzazione nella convinzione che solo agevolandola anche attravero l'intervento dello stato essa possa progredire e quindi consentire una redistribuzione della ricchezza. Di qui il suo liberismo che però non rinuncia anzi pone al centro la questione sociale, il problema della redistribuzione della ricchezza. Il fatto che la "terza via" sia diventata di fatto la "prima" non cancella la tradizionale attenzione socialista nei confronti dei temi dell'economia. La sua concezione dell'Europa come un grande mercato, il suo atlantismo, il suo appoggio alla guerra come consapevole risposta alla crisi aperta dalla globalizzazione sono risposte sbagliate, ma coerenti con la ricerca di una risposta ai problemi sociali che la globalizzazione della Gran Bretagna e dell'Europa.

Zapatero dribbla, prende tempo, ostenta pragmatismo. Se il capitalismo globalizzato attacca gran parte del pianeta e la guerra ne è una dimostrazione, l'Europa ancora non risente dei drammi del mondo. Qui si può agire non contrapponendosi al mercato globale, ipotesi impossibile, ma aggirandolo, cercando di incidere sui diritti, salvaguardando le forme democratiche, e potenziandole in modo da rendere gli uomini e le donne più consapevoli dei propri diritti, e quindi meno soggetti al dominio e ai domini. Pretendendo parità, praticando laicità e pluralismo. Di qui l'importanza per Zp dell'Europa intesa come forma politica che non si oppone al mercato, ma il cui scopo non è, come invece è per Blair, estenderlo e rafforzarlo. Di qui l'opposizione alla guerra, la sua decisione di non collaborare alla guerra in Irak. Zapatero non è un pacifista, ma è convinto dell'inefficacia della guerra. Perché essa non risolve, anzi accentua, i problemi posti dalla globalizzazione al pianeta. Di qui la sua contrapposizione agli Usa. Essa è utile solo a rafforzare un dominio. E a portare anche nel vecchio continente quei problemi della globalizzazione che il premier spagnolo vorrebbe il più possibile tenere fuori dall'Europa.

Un Giddens per Zapatero
Zp come Blair ha un ispiratore, un filosofo nelle cui idee si è ritrovato e sulle quali ha costruito gran parte delle sue politiche. Il Giddens del primo ministero spagnolo si chiama Philip Pettit, è irlandese, vissuto in Australia, professore di Teoria politica e filosofia all'università di Princeton. Le sue idee sono contenute in un ponderoso volume, edito in Italia da Feltrinelli e fino a qualche tempo fa ricercato solo dagli esperti, che si intitola "Repubblicanesimo".

Zapatero lo ammira a tal punto che quanto il professore è venuto a Madrid è andato a incontrarlo e ad ascoltarlo nel Caffé delle Bellas Artes.

Che cosa dice Philip Pettit nelle 381 pagine del suo libro? Propone di superare le due teorie che hanno dominato la teoria politica del novecento: il comunitarismo e il liberalismo. In che modo? Attraverso il "repubblicanesimo", cioè un sistema di valori che ha al suo centro il concetto di libertà. Libertà - spiega il professore a - intesa come "non dominazione", anzi opposizione al dominio. Diversa quindi dall'idea di libertà "liberale" che si limita ad essere "non interferenza" nella vita e nelle opinioni degli altri.

Se il liberalismo in nome della libertà intesa come "non interferenza" accetta che alcuni possano dominare su altri e quindi si adegua ad una situazione di non parità, il repubblicanismo invece promuove tutte le forme di risposta democratica al dominio.

Pettit parla della società moderna come di una società complessa in cui i protagonisti non sono i gruppi sociali, (lavoratori, imprese, corporazioni, ceto medio, chiese) ma gli individui, cittadini tra i quali costruire nuove forme di dialogo e di eguaglianza. Tanto più forte è la consapevolezza di ciascuno, tanto più profonde sono le conoscenze del singolo tanto più si condiziona e si riduce il potere. Tanto più un cittadino è consapevole tanto più sollecita risposte del potere e lo circoscrive e limita. In una società moderna la possibilità di contestare il potere, la creazione di questa possibilità deve, secondo Pettit, sostituire quello che è stato invece l'obiettivo di una vecchia concezione della democrazia, cioè la ricerca del consenso.

Le domande senza risposta
Nella Spagna di Zapatero, che sta vivendo un momento di entusiamo e di vitalità sono comunque molte le domande inevase che si colgono nelle discussioni, fra gli intellettuali e le fondazioni di ricerca che appoggiano il premier. Si possono ridurre gli elementi di dominio senza mettere in discussione l'economia di mercato? Forse si può, ma fino a quando? Fino a quando l'economia non diventerà ostacolo allo sviluppo di quella democrazia così fondamentale nella concezione zapateriana della società? E' possibile pensare ad un rovesciamento di quell'esperienza storica del socialismo secondo cui prima si deve cambiare la struttura e da questo cambiamento deriveranno tutti gli altri? E' possibile pensare che all'opposto dai cambiamenti civili, dalla eliminazione delle forme di dominio non strettamente dipendenti dalla struttura economica si possa partire per arrivare a modificare il sistema economico? A queste domande per ora non è possibile dare risposta. C'è chi pensa che questa risposta si dovrà dare e presto. La crisi economica e i problemi esploderanno anche in Spagna in autunno, quando il governo dovrà presentare il piano economico per il 2006. Quei numeri e quelle cifre non saranno indicative solo di quel che il governo intende fare, ma anche di quali rapporti di forza intende spostare e quindi, inevitabilmente, saranno indicazione del "socialismo" di Rodriguez Zapatero. Sapremo allora se la via della democrazia, della parità, del non dominio, intacca, sia pure con prudenza il dominio delle forze economiche, se si cercheranno forme di parità anche per i più deboli. O se la democrazia lì metterà un confine. Col rischio molto realistico che torni indietro.

(1-continua)