martedì 27 aprile 2004

Hans Magnus Enzensbergersecondo Alberto Oliverio

Il Messaggero Martedì 27 Aprile 2004

Saggi/ Le riflessioni liriche e in prosa dello scrittore, che guarda alla ricerca come uno dei multiformi aspetti dell’umanesimo

Enzensberger, quanta poesia nella scienza

di ALBERTO OLIVERIO




«LA POESIA della scienza non è palese. Scaturisce da strati più profondi. E’ una questione aperta se la letteratura sia in grado di praticarla alla stessa altezza. Alla fin fine, al mondo può essere indifferente dove si manifesti la forza d'immaginazione della specie, purché continui a restare viva». Così afferma Hans Magnus Enzensberger nel suo ultimo libro, Gli elisir della scienza pubblicato in italiano da Einaudi (245 pagine, 21 euro), che si conclude con l’affermazione che «la poesia è all’opera là dove nessuno l’immagina».

Lo scrittore tedesco ha sempre manifestato un forte interesse per il mondo della scienza e delle tecnologie come testimoniano opere come Mausoleum (che reca il sottotitolo Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso , 1979), il visionario La fine del Titanic (1990) o quel fortunatissimo divertimento, solo in apparenza dedicato esclusivamente ai bambini, che è Il mago dei numeri (1997), opera che ha conosciuto una grandissima popolarità grazie alla leggerezza e alla dimensione fantastica con cui tratta un tema apparentemente “arido”, quello appunto dei numeri. Gli elisir della scienza , che ha il sottotitolo indicativo Sguardi trasversali in poesia e prosa , è una raccolta di poesie e interventi in prosa assemblati in modo molto personale: come quando enuclea alcuni brani della testimonianza di Ugo Cerletti, che nel 1938 sperimentò per la prima volta gli effetti dell’elettroshock su un povero paziente di cui vengono raccolte le stupefatte, terrorizzate parole. Ma accanto a questo brano drammatico, centrato sulla disumanità e violenza di quell’intervento psichiatrico la cui giustificazione scientifica «manca purtroppo tuttora» ne figurano altri di grande lirismo, come la cronaca della visita al Cern di Ginevra, la gigantesca struttura dove si studia la fisica delle particelle, i cui «ambienti sotterranei evocano la navata centrale di una cattedrale, anche se erano riti e misteri di tutt’altra natura quelli di cui si occupano i suoi sommi sacerdoti». In questa e in altre grandi imprese della fisica Enzensberger individua una dimensione quasi spirituale, alla pari del grande scrittore svizzero-tedesco Friedrich Dürrenmatt che si chiese se «il Cern non potesse alla fine rivelarsi un istituto di ricerche metafisiche, anzi teologiche».

Per l’autore de Gli elisir della scienza l’impresa scientifica si presenta come il viaggio di Ulisse, l’affannosa ricerca di una dimensione che trascenda l’immediatezza, il tentativo di elevarsi sulla banale quotidianità: «Leggere i segni nelle ossa, nelle stelle, nei cocci,/ per il benessere della comunità, leggere nelle budella/ ciò che è stato e ciò che ci attende/ o Scienza! Che tu sia benedetta,/ benedetto il tuo piccolo lumino,/ un po’ bluff un po’ statistica...» . Ma la scienza, per Enzensberger, deve avere una dimensione aperta, essere caratterizzata dalla provvisorietà, non dalla “arroganza” del definitivo, perché altrimenti prevaricherebbe i valori umani, perderebbe la sua valenza utopica.

Il tema dell’utopia scientifica e della sottile linea di demarcazione che può separare una scienza carica di valori positivi da una in grado di minacciare i valori umani viene sollevato in un capitolo dal titolo indicativo (“Golpisti in laboratorio”) in cui Enzensberger manifesta i suoi dubbi e timori nei confronti delle nuove tecnologie della riproduzione e dell’ingegneria genetica. Non solo teme che il desiderio di utopia possa congiungersi con il desiderio di onnipotenza di scienziati sempre più sciamani e sempre meno razionali, ma anche che la scienza, da strumento illuministico di emancipazione e liberazione dai poteri tradizionali, si trasformi in una fondamentale rotella dell’ingranaggio di controllo e del sistema di potere sopranazionale, malgrado i fautori della “nuova scienza” si appellino a intenti umanitari di cui, «da Campanella a Stalin, ogni progetto utopistico si è sempre vantato». Tra le utopie (negative) citate da Enzensberger non figura quella nazista ma è evidente che lo spettro dell’eugenica hitleriana allunga la sua ombra su molti dei timori che egli manifesta nei confronti delle biotecnologie e della nuova genetica: eppure, malgrado egli consideri queste innovazioni non elisir ma veleni, il suo cuore condivide gli ideali delle grandi imprese scientifiche, uno dei multiformi aspetti dell’umanesimo.