mercoledì 30 giugno 2004

il professor Sergio Givone:«Che i bambini abbiano un loro segreto?»

Repubblica 30.6.04

Una mostra a Mantova sull'infanzia e l'arte

I GRANDI ARTISTI E I DISEGNI SPONTANEI DEI BAMBINI

Un mondo che sta nel segno del meraviglioso ma anche in quello del terribile

di SERGIO GIVONE




Occhi che ci guardano da chissà dove, volti e gesti di chi abita in questo mondo e nello stesso tempo in un altro, corpicini infantili attraversati da languori e turbamenti misteriosi, in grado di sopportare violenze indicibili, e che un niente strazia... Sono i bambini, così come la pittura e le altre arti figurative li hanno rappresentati nei secoli e come possiamo vedere in una bellissima mostra ideata da Sergio Risaliti e promossa da «Codice», che raccoglie opere a tema dall´antichità a oggi («Bambini nel tempo. L´infanzia e l´arte», Mantova, Palazzo Te, fino al 4 luglio). Che i bambini abbiano un loro segreto? E che questo segreto tenti in modo speciale gli artisti, i soli in grado di dirne qualcosa?

L´universo dei bambini, scrive Risaliti nell´introduzione al catalogo (Skira, euro 28), è percepito dagli adulti secondo una doppia prospettiva. Da una parte l´infanzia appartiene a una dimensione in cui tutto è stupore, grazia e dono. A far risplendere la tenera e miracolosa bellezza dell´infanzia è la sua gratuità. L´infanzia è com´è. Non può essere piegata a nient´altro, non può esser fatta servire a nient´altro. Tant´è vero che quando questo avviene, e non importa se per ragioni più o meno nobili o abiette, sempre e comunque avvertiamo che qualcosa di sacro è stato profanato.

Ma se da un lato il mondo dei bambini sta nel segno del meraviglioso, dall´altro invece sta in quello del terribile. Non solo la cronaca è infaticabile nel macinare orrori che hanno nei bambini un soggetto privilegiato. C´è anche una più sottile e più amara consapevolezza: che il carnefice sia stato vittima, almeno potenzialmente, che nella vittima si nasconda o addirittura si prepari un eventuale carnefice.

Come non vedere qui una connessione che è pura tenebra? Sembra quasi che a trar fuori la bestia dal nascondimento sia proprio la creaturalità indifesa, tanto più esposta alla violenza quanto più ignara e anzi confidente. L´affidarsi fiducioso eccita la voglia di ferire, la delicatezza chiama lo sfregio, l´innocenza vuole la colpa. Ed è il male per il male. Il male per il piacere di farlo. Ci sono artisti che hanno saputo dipingere l´una cosa e l´altra. L´innocenza e il furore. Il sogno e l´incubo. La dolcezza più commovente e il sangue che grida vendetta. Ma ci sono anche artisti che hanno visto il legame atroce che tiene insieme le due cose. Alcuni nomi: Guido Reni, Mattia Preti, Daniele Crespi.

Nella regione dell´infanzia, verso cui ci volgiamo increduli all´idea che un giorno sia davvero stata la nostra, tutte le cose hanno origine. Tanto che di nessuna di esse possiamo riscoprire il senso, il fascino, il mistero, se non abbandonandoci allo stupore e alla meraviglia dei nostri anni infantili. Nessun bamboleggiamento, qui (anche se non mancano esempi di artisti, pur grandi, che ne sono stati sfiorati, come per esempio Goya). Piuttosto, una strada obbligata.

E difficilissima. Come recita il detto evangelico, solo chi si fa come uno di questi fanciulli entrerà nel regno dei cieli. E allora? Devo forse ritornare nell´utero di mia madre (sta scritto)? In un certo senso sì, è la riposta di alcuni dei maggiori pittori del Novecento. Bisogna ripercorrere a ritroso la genesi, affermava Klee, è necessario risalire tutte le vie della creazione, fino all´origine. E Picasso pare sostenesse d´aver impiegato una vita per imparare a disegnare come un bambino, lui che da bambino disegnava come un Raffaello.

Nel suo saggio pubblicato nel catalogo Marco Belpoliti si sofferma su questa apparente stranezza. Perché disegnare come un bambino? L´arte contemporanea sembra aver cancellato la linea che un tempo separava nel modo più netto produzioni alte e produzioni basse, ingenui, inconsapevoli (gli "scarabocchi" dei bambini, ma anche di coloro che non sanno bene quel che fanno, sia che si tratti di pazzi sia di chi traccia ghirigori soprapensiero). Appunto: perché? Ma perché il gesto affrancato da qualsiasi finalità non riproduce questa o quella cosa, bensì l´originario ritmo del mondo, da cui tutte le cose sono generate. Come ben sapevano gli antichi, imitare è anzitutto mettersi in accordo con la realtà, ascoltarne la musica profonda, lasciarla risuonare come per la prima volta. Questo fanno i bambini quando imitano le azioni degli adulti. E questo capita agli adulti quando tornano bambini: infatti, se non rimbambiscono, diventano artisti. Nel qual caso a trovare un varco e a farsi visibile è ciò che altrimenti resterebbe per sempre senza voce.

Evidentemente non è solo questione di riconoscere che l´arte mal sopporta la servitù dei canoni e delle forme ideali ed eterne, attingendo invece alle inesauribili potenze della vita e magari da quelle potenze lasciandosi distruggere. In gioco (alla lettera) è la possibilità che quel ritmo, quella musica, quell´impulso formativo trovino modo di manifestarsi. I bambini ne sono i ricettori più sensibili.

Sono anche altro, i bambini. Lo stupore e la meraviglia di cui sono capaci, la tenerezza che suscitano, l´incanto che diffondono, fanno da calamita all´inquietante e all´impensato. Lì, dove la grazia incontra inevitabilmente il proprio opposto, si apre una vasta zona d´ombra che tiene insieme tutte le ambiguità. Regione largamente inesplorata, non è stata però la pittura quanto la letteratura a inoltrarsi nei suoi labirintici andirivieni. In particolare la letteratura contemporanea, come in conclusione del catalogo suggerisce Dalia Oggero. Che con molta intelligenza ha individuato un percorso possibile all´interno del più sconosciuto dei paesi scegliendo e accostando passi da romanzi di autori italiani contemporanei. Ma questo percorso non poteva che condurci oltre i confini della pittura e di quanto la pittura ha saputo rivelare dell´infanzia e del suo enigma.