mercoledì 21 luglio 2004

«in ginocchio da te»la fine di tanti "rivoluzionari":sandinisti e preti

Corriere della Sera 21.7.04

L’arcivescovo celebra la messa a Managua nel venticinquesimo anniversario del sandinismo. L’ex presidente del Nicaragua prega e legge la Bibbia

Ortega chiede perdono al nemico della rivoluzione

Riconciliazione con il cardinale Obando y Bravo: «Basta ferite»

di Rocco Cotroneo




Il Cardinale e il Rivoluzionario, uno davanti all'altro dopo un quarto di secolo. Il primo è monsignor Miguel Obando y Bravo e sta al posto che gli è naturale, l'altare centrale della cattedrale di Managua. Celebra messa senza quasi staccare gli occhi dall'altro, che ricambia l'attenzione con rispetto. L'ospite inconsueto è Daniel Ortega, il leader della rivoluzione sandinista che trionfò 25 anni fa in Nicaragua. Obando e Ortega, pedine della storia finale del Novecento, quando la Guerra fredda dava gli ultimi sussulti e l'America Centrale era il Medio Oriente di oggi. La sceneggiatura dell'incontro tra i due è studiata da tempo, c'è simbolismo ma anche politica interna. Camicia azzurra a maniche corte, Ortega è in prima fila con la famiglia, si fa il segno della croce, segue la liturgia e addirittura sale sull'altare per la prima lettura. Il Cardinale l'ha scelta dall'Antico Testamento: che Dio perdoni le offese ricevute dal popolo di Israele, dopo averlo liberato dal giogo d'Egitto. Non è domenica ma lunedì, perché è in questo giorno, il 19 luglio, che cade quest'anno l'anniversario dell'ingresso a Managua dei guerriglieri di Ortega e la fuga del dittatore Somoza. Fuori dalla cattedrale, poco dopo la messa, va in scena invece la celebrazione laica, quella con le bandiere rossonere del Fsln, dei 25 anni. Non c'è molta gente, due o tremila persone, battono le agenzie. Fu una grande illusione, un'occasione perduta, ormai lo si ammette su entrambi i fronti. Stavolta i sandinisti non vogliono limitarsi a ricordare. Volevano la riconciliazione con la Chiesa e l'hanno ottenuta. La mossa è stata di Ortega, che è ancora leader del movimento, e Obando ha accettato.

Riconciliazione o pentimento? Nella messa il cardinale ha usato la parola perdono. Per non restare ingabbiati negli errori del passato, ha detto nell'omelia, è necessario che le famiglie, le parti e gli Stati si aprano al perdono per riannodare le relazioni perdute. «Senza il perdono, le ferite continueranno a sanguinare».

Obando non aveva mai dimenticato le vessazioni subite dalla Chiesa nicaraguense negli anni del potere sandinista, dal 1979 al 1990. Se di repressione vera e propria non si può parlare, è difficile dimenticare la contestazione della folla sandinista riservata al Papa a Managua nel 1983 («Silenzio!», esplose Wojtyla, uno dei momenti più imbarazzanti del suo pontificato) e la persecuzione di molti sacerdoti nelle campagne. Va anche ricordata, d'altro canto, la peculiarità dei rapporti con il mondo cattolico durante la rivoluzione. I sandinisti avevano dalla loro parte un gran numero di religiosi legati alla dottrina della liberazione e alcuni preti entrarono addirittura come ministri nei governi post-rivoluzionari. Uno di loro, padre Ernesto Cardenal, venne pubblicamente rimproverato dal Papa, sulla pista dell'aeroporto di Managua. Era il rappresentante del governo. Ortega l'aveva scelto per dare l'addio al Pontefice.

Acqua passata, dicono ora in Nicaragua. Oggi Ortega è il leader, perennemente discusso, di un partito di sinistra moderata, che vive in un sistema democratico di alternanza. Dopo la vittoria con le armi, ha perso tre volte nelle urne. Nel ’90, quando lasciò il potere a Violeta Chamorro, nel ’96 e ancora nel 2001. Nonostante tutto, il mito resiste e Ortega è ancora leader dei sandinisti. La ripresa dei rapporti con la Chiesa è un altro mattone verso la normalizzazione del movimento che infiammò il Centroamerica e richiamò in Nicaragua migliaia di volontari per aiutare la Revolución. Quella sandinista aveva tutte le carte per essere diversa, aveva abbattuto una dinastia odiosa, i Somoza, che trattavano un Paese come proprietà privata. Prometteva cambiamenti nella democrazia, con un approccio non classista e inizialmente lontano dai dogmi del marxismo-leninismo. Una parte della Chiesa, come detto, partecipò attivamente.

Persino gli Stati Uniti, Carter presidente, guardarono con interesse al governo di Ortega. Poi il vento cambiò. Estremismi interni e il cambio della guardia a Washington innescarono la guerra civile. I contadini e i piccoli proprietari espropriati dal governo sandinista finirono per appoggiare le milizie controrivoluzionarie che si erano installate in Honduras. A Ronald Reagan l'occasione servì per ribaltare la politica di apertura del suo predecessore e aiutare i «Contras». Davanti al no del Congresso ai finanziamenti alle armate ribelli, la Casa Bianca usò l'escamotage dei fondi neri, ricavati con la vendita illegale di armi all'Iran. Il sotterfugio scoppiò nel famoso scandalo Iran-Contras.

Il governo sandinista, trovatosi a fronteggiare un nemico potente e attrezzato, continuò a ricevere solidarietà e appoggio da più parti. Ma i pasticci che combinò in economia fecero probabilmente più male alla rivoluzione che i dollari sporchi di Reagan. Dopo meritorie campagne di alfabetizzazione e di diritto alla salute, Ortega lanciò una riforma agraria sommaria e una serie di nazionalizzazioni che provocarono la fuga di capitali e l'aperta ostilità degli imprenditori. I sandinisti mantennero invece la promessa di rispettare il voto popolare e nel 1990, sconfitti, lasciarono il potere. Il ritorno alla normalità democratica e al libero mercato non è servita finora al Nicaragua per lasciare gli ultimi posti nella classifica della povertà sul continente. Il 70 per cento degli oltre 5 milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà, la disoccupazione è altissima. La principale fonte di sopravvivenza sono le rimesse degli abitanti scappati all'estero, principalmente negli Stati Uniti. L'anno prossimo il Nicaragua tornerà alle urne per scegliere un nuovo presidente. Ortega vuol esserci di nuovo e la mossa di far pace con il cardinale e il Vaticano tutto (alla messa ha partecipato anche il Nunzio a Managua) dovrebbe avere molto a che vedere con l'appuntamento.