domenica 27 febbraio 2005

brevi dal web

gazzettadelsud.it 27 febbraio 2005
L'elefantiaca mostra torinese curata da Vittorio Sgarbi e dedicata al «Male»
Esercizi di pittura crudele
Da Antonello a Caravaggio, da Kantor a Munch
Vincenzo Bonaventura

In principio fu Antonello da Messina. Almeno secondo Vittorio Sgarbi, curatore dell'elefantiaca mostra Il male, esercizi di pittura crudele, inaugurata venerdì sera nella Palazzina di Caccia di Stupinigi (Torino), dove rimarrà aperta fino al 26 giugno. Perché con Antonello e i suoi inquietanti ritratti, dice Sgarbi, «ha inizio l'individualità del male, la sua identità storica, non simbolica, non esemplare, non metafisica. Il male e basta. Il male senza redenzione». Perché nell'enorme iconografia artistica che si può ricondurre al tema del male, Antonello è un innovatore, anzi un precursore, visto che i suoi ritratti, tra fisiognomica e finissima psicologia, sembrano quasi irrompere fra i dipinti del XX secolo, che già hanno conosciuto Freud e i suoi seguaci. In mostra c'è il Ritratto d'uomo, conservato in Palazzo Madama a Torino, già definito da Valdo Fusi «traumatizzante ritratto di mafioso». E Sgarbi ci ha dato dentro col concetto di mafioso, anche se qualunque storico potrebbe sorridere all'idea di una mafia esistente già nel Quattrocento. Semmai con quello sguardo trasversale e un sorriso appena accennato, ma sufficiente per segnargli il viso di propositi cattivissimi, il personaggio ritratto potrebbe essere un gentiluomo (ma non troppo) di campagna di qualsiasi parte del mondo, intelligente e malefico attore del suo microcosmo, sia esso siciliano, sia esso bergamasco o ferrarese (ammesso che anche qui ci siano gentiluomini di campagna intelligenti). Tant'è: vista che purtroppo la mafia oggi sicuramente c'è – e permane bene per giunta – che necessità c'è di riportarla indietro fino al Quattrocento e farne ambasciatore Antonello, un grande che ben altro ha esportato nel mondo dalla Sicilia? Forse nessuna, se non il gusto di stupire e far clamore. E infatti, ammettiamolo, quella di Sgarbi è stata soprattutto una battuta, utile a capire l'intensità di quel Ritratto. Rimane, invece, la circostanza che Antonello a Stupinigi è ospite di un altro grande messinese, Filippo Juvarra, l'architetto cui Torino deve la sua invidiata urbanistica, e che nel 1729 creò per i Savoia la celebre Palazzina di Caccia. La mostra di Sgarbi risente dello stile del suo curatore, o meglio di quella sorta di bulimia artistica, di compulsione ad addendum di ridondanza che diventa norma, per cui anche durante la conferenza stampa di ieri mattina, altri pezzi si aggiungevano alla mostra, partita con l'idea di un allestimento di 200-250 opere e arrivata a quasi 600. Tutto arte? Può essere discutibile per alcuni, ma sembra giusto avere aggiunto alla pittura e alla scultura anche la fotografia, i fumetti, i giornali satirici (poteva mancare Il male, non dimenticata testata iconoclasta?), il cinema, il teatro (si vede il video de La classe morta di Tadeusz Kantor), la televisione (con la riproduzione, tra l'altro, di un programma di Maria De Filippi). E si può discutere all'infinito anche su che cosa può rientrare nel concetto di male: dolore fisico, sacrificio, melanconia, morte, cattiveria, erotismo, sadismo, masochismo, crudeltà, menzogna... Un elenco infinito, talmente infinito che ha messo ko perfino Sgarbi che, pur aggiungendo opere fino all'ultimo secondo, si è soffermato su due punti. Un male, diciamo religioso, che lui ha definito «Cristo per tutti», e che ha come fine la redenzione o un aldilà, dove la gioia sostituirà il dolore. E un male che è dentro di noi, definito «ognuno per sé», idealmente introdotto da L'urlo di Munch (che naturalmente non è in mostra, essendo stato rubato qualche tempo fa). Il percorso cronologico ha quindi una sua logica ed entra nella coscienza del visitatore, lo aggredisce e in qualche maniera lo rende diverso perché non si può rimanere insensibili emotivamente a quello che si vede. Vedere il male genera il bene oppure altro male? Questa è una domanda forse ovvia e tuttavia destinata a non avere una risposta definitiva: ognuno di noi può procedere per imitazione o per contrasto. Per non sbagliare, comunque, la mostra è vietata ai minori. A colpire è anche il fatto che i capolavori sono pochi, ma sono tantissime le opere quasi sconosciute, perfette per illustrare il tema. Tra i capolavori spicca Cristo coronato di spine del Beato Angelico, conservato «fin troppo bene» nel museo di Livorno, nel senso che si trova in una stanza quasi sempre diffusa. «Sembra il Cristo del film The passion di Mel Gibson, pur nell'armonia del Beato Angelico», dice Sgarbi e ha ragione perché il ritratto è di insolita durezza per quell'artista. E ci sono ancora lo straordinario Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio, proveniente da Siracusa, il Fanciullo morso da una ramarro dello stesso Caravaggio, e il famosissimo bulino di Albrecht Durer Il cavaliere, la morte e il diavolo. Pure, tra tanti «memento mori», Caino e Abele, Giuditta e Oloferne, David e Golia, Salomè e San Giovanni Battista, martiri di ogni tipo, colpiscono opere davvero insolite, come i cinquecenteschi Ira di Dosso Dossi, con due donne che si accapigliano, e Mangiatore del braccio di Bartolomeo Passerotti, con un uomo cannibale di se stesso; i seicenteschi Alchimisti di Pietro della Vecchia, con personaggi-mostri, La strega, nuda e orrenda, di Salvator Rosa, e la cera colorata La Pestilenza del siracusano Gaetano Giulio Zumbo; il settecentesco Interrogatorio in carcere di Alessandro Magnasco, un vero campionario di crudeltà. Forse, però, la sorpresa vera viene dalle opere a noi più vicine nel tempo, quando la figurazione perde la sua morfologia per costruire i suoi personaggi come trasfigurati (in peggio) dall'inconscio. E come se l'uomo, all'improvviso, si sia accorto di essere diventato un mostro. Un esempio? L'urlo di Enrico Colombotto Rosso. Dove una figura femminile in nero sembra galleggiare tragicamente su una tela rosso sangue. E anche dove la figurazione riappare, come in Abramo e Isacco di Riccardo Tommaso Ferroni, versione in jeans della storia biblica, c'è sempre qualcosa di inquietante e sotteso. Addirittura le terrecotte policrome di Paul Schmidlin e l'installazione Sacrificio umano di Mathilde Ter Heijne, con una donna che si triplica per essere carnefice di se stessa, puntano a un realismo fotografico, che pure sembra essere espressione di un incubo. E perfino l'elegante video del grande artista italoamericano Bill Viola, Remembrance, con il suo costante cambio d'espressione sembra raccontare del nostro dolore più interiore, quello che non riusciamo a esprimere.

gazzettadelsud.it 27 febbraio 2005
la spedizione archeologica di Emmanuel Anati
I resti di questo luogo rituale di culto, risalenti a 40 mila anni fa, sono stati scoperti sull'altopiano Har Karkom
Il tempio più antico del mondo sul “vero” monte Sinai
Marco Passelli

I resti di un tempio, o meglio un luogo rituale di culto, risalenti a 40 mila anni fa, sono stati scoperti sull'altopiano Har Karkom, un plateau di 850 metri sul livello del mare che, secondo molti studiosi, sarebbe il vero monte Sinai della tradizione biblica e che si trova a nord dell'omonima penisola, tra le città Eilat e Mizperamon. Ai piedi sono inoltre stati trovati segni di accampamenti risalenti alle ipotetiche date dell'esodo degli ebrei dall'Egitto. La scoperta è stata fatta nel corso della spedizione archeologica italiana nel Sinai e nel deserto del Negev, diretta dal professor Emmanuel Anati, fondatore e direttore del Centro Camuno di Studi Preistorici, che ha sede in Valcamonica, in provincia di Brescia, e che è stato docente di preistoria all'università di Tel Aviv e di Paletnologia all'università di Lecce. Anati, che da 24 anni svolge ricerche nella zona a nord del Sinai e nel deserto del Negev, illustrerà le sue recenti scoperte mercoledì prossimo, 2 marzo, alla 10,30 a Livorno, nella Biblioteca Labronica, in occasione della Conferenza Enriques 2005. I resti individuati sul Har Karkom risultano ad oggi, secondo il professor Anati, quelli del tempio più antico del mondo. Si tratta di una serie di monoliti antropomorfi, una quarantina in tutto, sistemati in un avvallamento, invisibile dal basso, e sull'orlo di un precipizio. «Appare come un vero e proprio luogo di culto risalente al periodo di passaggio tra il paleolitico medio e quello superiore – spiega il professor Anati – che attesta l'antichissima sacralità del luogo posto lungo il percorso migratorio tra l'Africa e l'Asia». Lungo tutto l'altopiano ci sono tracce di templi anche di epoche successive ed ai piedi del rilievo la spedizione del professor Anati ha trovato tracce di accampamenti umani risalenti al periodo indicato dalla tradizione biblica come quello dell'uscita degli ebrei dall'Egitto sotto la guida della mitica figura di Mosè. Sono stati scoperti fondi di capanne in pietra e fondi scavati nel terreno. «Le tracce – spiega il professore – indicano almeno 120 accampamenti capaci di ospitare diverse migliaia di persone». Il fatto che questi siano stati trovati ai piedi del rilievo e che, invece, i templi si trovassero sulla sommità fa inoltre pensare ad una netta divisione dei ruoli in quelle antiche società che riservavano quello sacro solo ad una ristretta cerchia di iniziati ammessi a salire sulla montagna sacra. Tutto ciò confermerebbe la narrazione biblica che parla di un solo uomo, Mosè, autorizzato a salire sul monte. «Le nuove scoperte – spiega Anati, che si riserva di scoprire tutte le carte in occasione della conferenza di Livorno – rimettono inoltre in discussione le date ipotetiche dell'esodo degli ebrei dall'Egitto che potrebbe risalire ad un'epoca precedente». La convinzione che il vero Monte Sinai della tradizione biblica sia in realtà lo Har Karkom non è solo di Emmanuel Anati, ma è condivisa da molti altri studiosi. «L'indicazione di quello dove sorge il santuario di Santa Caterina come il Monte Sinai sul quale salì Mosè – spiega Anati – fu assunta in epoca bizantina, trecentocinquanta anni dopo Cristo e molto probabilmente questo accade solo perché era la montagna più alta della zona».

gazzettadiparma.it 27 febbraio 2005
Lotta al disagio psichico

«Il disagio psichico è un problema che riguarda tutti e da cui nessuno è immune » , ha affermato mercoledí scorso Maurizio Vescovi all'associazione culturale «Parma Lirica» , in occasione della conferenza-dibattito organizzata dal nucleo Avis «Nando Corazzi» intitolata appunto «Il disagio psichico in medicina generale: dimensione di un problema» . Nel corso del convegno sono state illustrate con tanto di grafico e statistiche le varie tematiche di un problema che coinvolge tutte le società e i paesi. «Attraverso dati ufficiali dell'organizzazione mondiale della sanità - ha sottolineato il relatore - abbiamo rilevato che il 10- 15% della popolazione soffre di depressione e che un numero elevato di pazienti, senza arrivare alla diagnosi psichiatrica, ne presenta disturbi sottosoglia. E tutto ciò rappresenta un ostacolo non soltanto per il malato stesso, ma anche per tutta la famiglia e per chi lo circonda e proprio per questo sono stati definiti «pazienti che soffrono e fanno soffrire». Di vario genere sono gli avvertimenti di quello che è considerato il male del secolo e i principali sono: un umore depresso, la perdita di interesse e piacere, diminuzione di energia o variazioni dell'appetito e del peso e disturbi del sonno» . E' stata affrontata anche la questione degli psicofarmaci, considerati da Vescovi «un aiuto all'interno del dedalo delle azioni terapeutiche e da prescrivere sempre con grande attenzione solo se in corrispondenza di una terapia e di una relazione che si stabilisce tra medico e paziente, e solo in casi di rallentamento psicomotorio o agitazione, bassa autostima, sensi di colpa, difficoltà di concentrazione e idee di morte». Tanti e interessanti i casi specifici che il medico ha raccontato all'attento pubblico in sala, attraversando le cause del «male oscuro» tra i più giovani, sottolineando l'importanza del ruolo degli insegnanti, e tra gli anziani, con il conseguente disagio da correlare all'isolamento e alla perdita di un ruolo sociale. Vescovi ha anche evidenziato l'importanza di ridurre il primo ricovero del paziente «perchè comunque lo stigma esiste, e talvolta questa consapevolezza anzichè portare dei benefici, rischia di peggiorare la situazione». «E' nostro dovere - ha infine concluso - registrare i nostri errori per evitare che accadano nuovamente. E soprattutto formare una nuova coscienza, per meritarci una maggiore fiducia» . Al termine dell'incontro sono state consegnate dal rappresentante dell'Avis dell'associazione Giovanni Baccaro targhe di riconoscimento allo stesso Vescovi, che «da anni svolge con grande professionalità e sensibilità l'attività di medico di base», a Franco Somacher e ad Amleto Cagna. Mariacristina Maggi

ilmessaggero.it 26 febbraio 2005
Proviamo a reagire da soli alla depressione
di MARIA RITA CHIACCHIERA

Perugia. LA PREDISPOSIZIONE al benessere fisico e psicologico, è innata o si costruisce?
Molte persone sono attente a riconoscere i segnali di allarme inviati dall'organismo e sono conseguentemente abituate a credere di poter affrontare qualunque avvenimento ”caricandosi” ancora di più. In realtà non fanno altro che dare maggior forza alle cause di stress. Alcuni studiosi della materia sono giunti alla conclusione che ogni disturbo che tende ad intaccare l'organismo è una minaccia alla stabilità psicofisica dell'individuo ed è quindi portatore di stress.
Che cosa significa il benessere psico-fisico?
«La persona - afferma il dottor Tiziano Grosso, psicologo e psicoterapeuta - è fatta di psiche e corpo, che sono indissolubili; l'uno influisce sull'altro. Quindi per avere un corpo sano, che è la base del benessere, bisogna avere anche una psicologia ordinata, che significa un modo di vivere in cui le scelte, i comportamenti, le relazioni, siano corrispondenti e funzionali alla persona».
Ogni scelta sbagliata ha un effetto e produce una micro-tensione; quando le micro-tensioni superano la soglia di tolleranza che è diversa da persona a persona, si determina uno stato di anomalia fisica (psicosomatica). Un organo subisce una ”pressione” che lo ”danneggia” prima sulla funzione e poi sulla struttura. Questo è il processo della malattia psico-somatica con cui viene colpito il corpo.
Come avviene invece il processo della depressione?
«La depressione invece, molto diffusa nella nostra società, colpisce lo stato emotivo e psicologico della persona e in questo senso è forse ancora più pericolosa dei disturbi somatici, perché colpisce a livello primario la mente, anche se, dopo, il corpo ovviamente ne subisce le conseguenze».
Perché questi disturbi oggi sono così diffusi anche tra i giovani?
«Intanto oggi le comunicazioni sono più veloci e precise che nel passato e quindi abbiamo una percezione dei fenomeni più immediata. Molto probabilmente la depressione, anche nei decenni passati, colpiva ampi strati della popolazione, solo che se ne parlava poco. Oggi abbiamo più tecnologie, più scoperte farmacologiche e maggiore esperienza sia psicologica che medica e quindi possiamo aiutare di più queste persone che soffrono».
Sicuramente, un punto di aiuto è il nostro stesso corpo che va salvaguardato e sostenuto. Il corpo possiede per natura una struttura elementare che è il nostro equilibrio, il cui effetto è il nostro stato di salute.
Quando una persona si trova in una situazione di disagio, che cosa deve fare?
«Quando il corpo subisce molte micro-tensioni - spiega il dottor Tiziano grosso - risponde segnalando una anomalia. Se la persona è attenta a se stessa, può cogliere questi segnali e attivare una reazione. Questa presa di coscienza è gia sufficiente per far comprendere all'individuo che sta accadendo qualcosa di anomalo in se stesso e quindi deve reagire secondo la propria tipologia di persona. L'importante è non sottovalutare questi primi sintomi di tristezza, malinconia e insoddisfazione, e se i disturbi persistono, consultare specialisti del settore».
Quali consigli per prevenire questi disturbi?
«”Mente sana in un corpo sano", lo sapevano bene gli antichi romani, cultori del benessere fisico e non solo: le terme, una buona musica, buone relazioni interpersonali, movimento fisico, alimentarsi in modo semplice e soprattutto non cedere mai alla pigrizia sia mentale che fisica».
Insomma, prima di ricorrere al medico, a volte basta sapersi guardare dentro con coscienza e lucidità, senza bleffare con se stessi, per trovare un antidoto capace di riportare la nostra situazione alla normalità e quindi tirandoci fuori dai pasticci.
Il tutto se la nostra situazione è ancora ”controllabile”: è evidente però che4 se abbiamo suoerato certi limiti, l’aiuto di uno specialista diventa indispensabile.