sabato 28 maggio 2005

"iperattività"

Brescia Oggi Sabato 28 Maggio 2005
Seminario di approfondimento in Cattolica. Il disturbo colpisce il 4% della popolazione scolastica
Bimbi iperattivi, dibattito aperto
Gli esperti: «Disturbo neurologico». Ma è scontro sull’uso di psicofarmaci
l.c.

Impulsivi, irrequieti, disattenti, tanto da compromettere la loro vita di relazione e scolastica. Sono i bambini che erroneamente vengono descritti come «quelli che fanno soffrire ma che non soffrono». Una lettura superficiale del disturbo da deficit di attenzione e iperattività, che in tempi recenti è stata ribaltata, di pari passo con una tardiva presa di coscienza del problema a livello clinico, pedagogico e sociale. Oggi l’attenzione è puntata proprio sui bambini, personalità condannate a essere sempre fuori luogo e a disagio, inadeguate, incapaci di frenarsi. Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (definito Adhd dall’acronimo inglese) è oggi un problema che interessa il 4% della popolazione scolastica, e rappresenta il più comune disturbo comportamentale infantile. Una patologia cui l’Università Cattolica, con il corso di laurea in Scienze della Formazione primaria, e con Aifa, Associazione italiana famiglie Adhd, ha dedicato un seminario di approfondimento.
Fra i più frequenti disturbi neuropsichiatrici dell’età evolutiva, l’Adhd può essere individuato già dai 3 anni, anche se l’età classica in cui viene «scoperto» è i 6 anni, con l’ingresso in prima elementare e la difficoltà a stare seduti e concentrarsi. «Quando affiorano questi sintomi - ha spiegato Enzo D’Alessandro, psichiatra del Royal College of Canada e consulente del Gaslini di Genova - è fondamentale che la diagnosi venga fatta con un approccio multimodale, cioè clinico, psicologico, pedagogico. Questo proprio per escludere possibili altre patologie come i disturbi dell’apprendimento che sono altra cosa rispetto all’Adhd, ma che comunque, nel 60-70% dei casi comporta anche disturbi di apprendimento, come difficoltà a leggere, scrivere e fare i calcoli». Bambini (il rapporto maschi-femmine colpiti è 10 a 1) incapaci di selezionare gli stimoli, di controllare impulsi, di pianificare azioni «con il futuro in testa». Bambini il cui disturbo, secondo gli studi più recenti, sembrerebbe legato a fattori di tipo biologico e nello specifico neurologico, «una ipo-irrorazione della corteccia prefrontale del cervello, e a livello biochimico un’alterazione di un neurotrasmettitore, la dopamina» ha aggiunto D’Alessandro, introducendo il grande scontro politico oltre che scientifico sui diversi trattamenti da usare, in particolare l’approccio agli psicofarmaci. «Il trattamento d’elezione - ha detto - è quello cognitivo comportamentale, per lavorare col coinvolgimento di famiglia e scuola sull’attenzione, l’impulsività e il rinforzo dell’autostima, dal momento che la difficoltà a socializzare li rende spesso frustrati. L’uso dei farmaci deve essere il rimedio estremo, da riservare ai casi gravi, tenendo conto che 3 su 4 sono comunque lievi».
L’Adhd è una patologia che può essere trattata con successo, ma che non può essere trascurata, come si tendeva a fare, quale problema marginale che si risolve con l’età: al bivio dell’adolescenza, infatti, il 50% dei casi vengono risolti dalla naturale maturazione cerebrale, ma nella restante metà permangono atteggiamenti oppositivo-provocatori destinati a tradursi in disturbi della condotta e disagi dell’adattamento sociale, come personalità devianti, che trovano rifugio nell’abuso di sostanze e sono a rischio di depressione. «Per questo è essenziale intervenire per tempo - ha detto Astrid Gollner, mamma che ha conosciuto da vicino il problema con il proprio figlio -. Tutti gli insegnanti dovrebbero avere le conoscenze e gli strumenti per cogliere il problema. Cosa che oggi, purtroppo, non accade».