martedì 18 aprile 2006

citato al Lunedì:



Zeus e Io (1530), olio su tela
di Antonio Allegri, detto Correggio (ca 1489-1534)


(per vedere l'immagine in formato più grande clicca qui)

da Ovidio, Le Metamorfosi, Libro 1 (vv. 588-600)
Zeus e Io

Viderat a patrio redeuntem Iuppiter illam
flumine et: "O virgo Iove digna tuoque beatum
nescio quem factura toro, pete" dixerat "umbras
altorum nemorum" (et nemorum monstraverat umbras)
"dum calet et medio sol est altissimus orbe.
Quodsi sola times latebras intrare ferarum,
praeside tuta deo nemorum secreta subibis,
nec de plebe deo, sed qui caelestia magna
sceptra manu teneo, sed qui vaga fulmina mitto.
Ne fuge me!" Fugiebat enim; iam pascua Lernae
consitaque arboribus Lyrcea reliquerat arva,
cum deus inducta latas caligine terras
occuluit tenuitque fugam rapuitque pudorem.


Mentre tornava dal fiume paterno, l'aveva intravista Giove,
che le disse: "O vergine degna di Giove e che beato farai
lo sconosciuto che ti sposerà, ritirati nell'ombra
di quei boschi profondi" (e l'ombra di quei boschi le indicava),
"ora che fa così caldo e più alto è il sole in mezzo al cielo.
E non temere di addentrarti sola fra covi di belve,
cammina tranquilla nel cuore del bosco: un dio ti protegge,
e non un dio qualunque, ma io, io che con mano potente
reggo lo scettro del cielo e scaglio fulmini in ogni luogo.
No, non fuggirmi!". Ma lei fuggiva; e già i pascoli di Lerna,
le piantagioni del Lirceo s'era ormai lasciata alle spalle,
quando il dio, nascosto un lungo tratto di terra con una distesa
di nebbia, fermò la sua fuga e le rapì l'onore.

Edizione Garzanti, traduzione di Mario Ramous

(si ringraziano Gianluca Cangemi e Francesca Iannaco)