venerdì 28 maggio 2004

lo junghiano Hillman, Hopper e le finestre«la guerra ha le sue radici nel cosmo» (sic!)

Hillman: "Vi spiego le sue finestre"

intervista con il pensatore junghiano


Proprio in questi giorni la Tate Modern di Londra gli dedica una grande antologica

Il celebre analista terrà oggi a Roma una conferenza sul popolare pittore americano

di LEONETTA BENTIVOGLIO




Firenze. Oggi alle 18, nella Facoltà di Architettura a Valle Giulia di Roma, in un incontro che, considerata la sua fama stellare, è facile prevedere acclamatissimo, James Hillman, il pensatore junghiano più carismatico e abilmente mediatico del nostro tempo, terrà una lecture dal titolo misterioso e bellissimo, semplicemente: Finestre. Sottotitolo: Gli occhi dell´immaginazione architettonica - Con speciale riferimento ad Edward Hopper. Ed è con magistrale quanto inconsapevole tempismo che la conferenza combacia quasi alla perfezione con l´apertura (avvenuta ieri) dell´antologica che la Tate Modern di Londra dedica a Edward Hopper, presentandola come la massima retrospettiva mai realizzata in Europa sul lavoro dell´artista americano. Potente portavoce dell´immaginario occidentale, capace di influenzare il cinema, la letteratura e la cultura popolare con i suoi affreschi nitidi e struggenti, i suoi interni raggelati in sospensioni metafisiche, la tragica quotidianità dei suoi personaggi, Hopper è un tema d´inesauribile forza evocativa. E un soggetto ideale per uno studioso come Hillman, esploratore accanito, da oltre un cinquantennio (è nato nel ´26, ad Atlantic City, e ha iniziato la sua attività come terapeuta, prima di conquistare un successo planetario con testi come Il codice dell´anima, Puer Aeternus, La forza del carattere, e Il sogno e il mondo infero), dei miti su cui poggia l´inconscio collettivo.

«La mia lecture sulle finestre e su Hopper è soprattutto un messaggio per gli architetti», premette Hillman, accomodato con placida esultanza sulla terrazza fiorita di un albergo di Firenze, dove, prima di giungere a Roma, ha accompagnato la moglie Margot McLean, giovane signora delicata e avvenente che dipinge come per contrasto serie inquietanti di uccelli aguzzi come lame, esposte in questi giorni, insieme alle opere di un´altra pittrice americana, Sandy Gellis, in due spazi fiorentini, "La Specola" al Museo di Storia Naturale e la Galleria Falteri. «Oggi gli architetti», prosegue Hillman, «devono osservare la pittura, da cui possono imparare molto. Come Hopper sapeva bene, la finestra è il focus, l´anima dell´edificio, il suo sguardo all´interno. E´ all´importanza di questo sguardo e ai valori psicologici del disegno che vanno ricondotti gli architetti, i quali, negli anni del postmodernismo, hanno perso profondità. Da qui l´enfasi data alla facciata, all´edificio considerato solo dall´esterno: dentro e dietro la facciata, il vuoto del nichilismo». E aggiunge che quello dell´architettura «è un mio interesse coltivato da tempo, da appassionato amateur», come dimostra il libro L´anima dei luoghi, che esce in questi giorni pubblicato da Rizzoli (152 pagg, 14 euro), e che è composto, oltre che dal saggio di Hillman che dà il titolo al volume, da una sua lunga conversazione con l´architetto Carlo Truppi.

Professor Hillman, torniamo sul soggetto della sua conferenza: le finestre, e il loro ruolo nei quadri di Hopper.

«Voglio concentrarmi sul senso decisivo in pittura, ma anche nel cinema, della funzione della finestra per l´immaginario. Il mostro arriva dalla finestra, il buio della notte pulsa oltre la finestra, la strada corre fuori dalla finestra, c´è una donna affacciata alla finestra. Hopper era un genio delle finestre, guardate da dentro e da fuori, intese sia come veicolo di libertà che come sentimento di nostalgia dell´interno. Geni delle finestre, in questo senso, erano anche Rembrandt, Vermeer e tutti i pittori più grandi. Nelle stanze di Bonnard, negli interni di Matisse, in molti quadri di Picasso, ovunque ci sia una storia, da qualche parte c´è anche una finestra. Che è esperienza dell´anima, apertura sull´interiorità. Per il pittore non è una scelta razionale: c´è un sentimento che lo guida al di là. Se manca l´al di là - e in tutto ciò che è nichilista manca - la finestra è solo una banale costruzione per la luce e l´aria. La finestra guarda in, verso l´interno, come una porta d´accesso all´anima. In è senza dubbio la parola chiave in analisi: è la direzione del movimento psicologico, è la posizione privilegiata dei valori dell´anima».

Può spiegare la grandezza specifica di Hopper?

«La sua arte si fonda sulla psiche umana e sull´architettura. I suoi avventori solitari, gli ambienti immersi nel silenzio, le scene come viste nel distacco di una lastra di cristallo, tutto nei suoi quadri vive in stanze, automobili, uffici, scompartimenti di treno, motel, desolati bar notturni? Non c´è pittura en plein air come nell´impressionismo francese, né la vitalità dei paesaggi esterni di Van Gogh, dove l´architettura è presente solo nel quadro La camera da letto, col suo inusuale impiego della prospettiva e la deformazione della stanza. Hopper, piuttosto, è un interprete profondo delle relazioni umane, e mostra il potere che ha su di esse l´architettura. Egli sa quanto l´anima dell´edificio influisca sull´anima delle persone. Spesso c´è esagerazione nelle sue finestre: troppo vetro, dimensioni enormi, sproporzioni evidenti tra la struttura della finestra e gli individui. Spesso la luce è tremenda, smisurata. Spesso la morte può parlarci attraverso il mistero delle sue strade e i suoi blocchi di edifici con finestre chiuse o nere, come sguardi serrati sull´anima. Per questo non c´è realismo in Hopper, sebbene le sue scene siano intensamente reali».

Perché, secondo lei, è sempre stato un pittore tanto popolare?

«Perché c´è familiarità nelle sue immagini. Perché è diretto e esplicito nel presentare situazioni. Perché la sua pittura ha la virtù della sincerità. Perché sa offrirci la creazione di un mondo, non la sua registrazione. Tutto ciò che ci mostra è pervaso di memoria e simpatia, e al tempo stesso di distanza e imperativi formali».

Nel suo nuovo saggio L´anima dei luoghi lei denuncia la perdita di ogni nostra reazione all´estetica, con l´esito di una sorta di anestesia generalizzata nei confronti dell´immagine. Crede che sia possibile un recupero?

«È difficile uscirne. L´anestesia domina la nostra vita: in senso farmacologico, innanzitutto. Si prende una pillola appena si avverte il dolore, a volte persino per prevenirlo. Anche i rumori, tremendi ovunque, ci anestetizzano, come le luci: non sappiamo più cos´è l´oscurità totale. Dov´è possibile trovarla? Il gusto, poi, è appannatissimo dagli eccessi di uso di sale e zucchero nel cibo. E c´è l´anestesia psicologica, che è una difesa naturale: se si è troppo sensibili psicologicamente, in questo nostro mondo bombardato da sollecitazioni si rischia la follia. Per difendersi è necessario chiudere i sensi e l´immaginazione. Per questo solo le immagini delle torture in Iraq potevano darci la consapevolezza della guerra».

Prima non ne eravamo consapevoli?

«Non veramente. La guerra in Iraq è spaventosa in senso morale, politico e fisico, ma solo la crudezza patologica di quelle immagini poteva indurci a prenderne coscienza. Come sapeva Goya (ancora un pittore!), e come ha dimostrato il filosofo francese Gaston Bachelard, l´immagine, per penetrare la mente e smuovere emozioni, deve essere contorta e paradossale, di horror assoluto. La guerra è stata orribile fin dal primo giorno, ma prima di quelle immagini era per noi un concetto astratto. Per questo in America non si parla dei 5000 feriti della guerra. Si parla invece degli 800 morti, perché la morte, in quanto metafisica, non ci colpisce. Le ferite invece sono fisicissime: ustioni, occhi accecati, volti mutilati, arti tagliati? Impossibile sostenerne la visione. Come nel caso delle torture. Non quelle che riguardano la sfera della sessualità, mai scioccante, data la quantità di pornografia e fantasia orgiastica in cui è immersa la nostra civiltà. Le torture intollerabili da vedere sono quelli in cui compaiono cani, fili elettrici?».

Ed è di guerra che parla anche il suo nuovo libro.

«S´intitola A Terrible Love of War, è appena uscito in America e in Italia sarà presto pubblicato da Adelphi. È un saggio di natura fenomenologica fondato sull´idea che la guerra ha le sue radici nel cosmo, nel senso che, al contrario della pace, è ontologicamente fondamentale. Da Eraclito a Thomas Hobbes e a Kant, non è un´idea nuova. Ma torno a esplorarla in modo pieno e profondo, partendo da un´indagine sui miti e le divinità pagane. È un libro a cui pensavo da vent´anni».