martedì 28 settembre 2004

violenze in famiglia

Corriere della Sera edizione di Roma 28.9.04

Dall’inizio del 2004 sono stati aperti 707 dossier, i «dottor Jekyll e mister Hyde» si nascondono in tutte le classi sociali

«Aumentano le violenze in famiglia»

Denuncia dell’associazione «Differenza donna»: gli abusi sulle partner in crescita dell’11 per cento

Lavinia Di Gianvito



Crescono le violenze in famiglia. Contro le donne e contro i bambini. Tra le mura domestiche mogli e figli vengono insultati, maltrattati, picchiati. Subiscono abusi sessuali e, nei casi più drammatici, le liti sfociano in spietati omicidi. Se poi il rapporto finisce, mariti, conviventi e fidanzati diventano ancora più aggressivi: il 60 per cento degli «ex» non abbandona la preda neanche quando la magistratura dispone l’allontanamento da casa. Per frenare tanta brutalità, nei casi più gravi resta solo il carcere. I dati raccolti da «Differenza donna» sono significativi. Il confronto fra il 2003 e il 2004 dimostra che la prepotenza maschile è aumentata dell’undici per cento. Ma chi ogni giorno assiste alle lacrime di mogli e madri disperate nelle due sedi dell’associazione non si sorprende: «Il trend è in salita da tre anni», sottolinea l’avvocato Teresa Manente. Il segno, sostiene, «di una restaurazione, di un ritorno alla cultura patriarcale».

Sono 707 i nuovi «dossier» aperti da «Differenza donna» in questi primi nove mesi dell’anno: in 360 casi le vittime si sono rivolte al centro antiviolenza di Villa Pamphili, in 347 a quello di Torre Spaccata. Tra il 1° gennaio e il 27 settembre 2003, invece, le due sedi dell’associazione avevano ricevuto, rispettivamente, 337 e 300 segnalazioni, per un totale di 637.

L’aggressore non è un emarginato. Anzi. «Chi maltratta la propria compagna è in genere un uomo "normale" - avverte Oria Gargano, responsabile della sede di Villa Pamphili -. Non è né tossicodipendente né alcolizzato né psicotico. Ha un lavoro e relazioni sociali. Spesso amici e conoscenti lo considerano simpatico e cortese».

I «dottor Jekyll e mister Hyde» sono diffusi in tutte le classi sociali: la violenza in famiglia non dipende dal reddito e dal titolo di studio. La stessa «trasversalità» caratterizza le vittime, che hanno tra i 25 e i 40 anni e che possono essere tanto disoccupate quanto manager. A renderle simili nella diversità, sono la solitudine e una grande fragilità psicologica, che nascono proprio dagli abusi subiti. «Sono condannate a un sistema di vita improntato ad aggressioni, minacce e ingiurie», sottolinea il pm Maria Monteleone, uno dei magistrati del pool antiviolenza della procura. E le prepotenze uccidono la libertà: «Una donna sottoposta a continue intimidazioni - dice Manente - è di per sé una donna subordinata». In più c’è la paura: «La tipica vittima di una persecuzione - spiega Gargano - crede che non potrà mai e in nessun modo sfuggire al suo aguzzino».

Invece sottrarsi al partner violento è possibile. Ma ci vuole determinazione. Ci è riuscita Elena (che in realtà ha un altro nome), una maestra di 32 anni, due bimbi, sposata con un falegname. Durante il primo colloquio nel centro di Villa Pamphili ha spiegato: «Mi voglio separare perchè mio marito mi offende, non mi ama più». Negli incontri successivi è emersa la verità: Elena aveva perso il conto delle volte che era stata picchiata e si era fatta medicare al pronto soccorso giurando di essere caduta. A poco a poco, la maestra ha raccontato anche che il marito la costringeva a vedere cassette porno e che le aveva proposto amori di gruppo.

«Nella maggior parte dei casi - spiega la Monteleone - le donne arrivano a denunciare le violenze subite quando non hanno altre possibilità. Dietro ci sono mesi, anni di maltrattamenti. La norma sull’allontanamento dalla famiglia è stata un passo avanti, ma è grave constatare che non basta: occorrono misure cautelari più severe, spesso la custodia in carcere».