domenica 28 novembre 2004

venerdì al Piccolo EliseoFausto Bertinotti ha presentato il proprio programma

Liberazione 27.11.04

Bertinotti: «Vogliamo vincere la sfida»A Roma, al Teatro Piccolo Eliseo stracolmo di gente, il segretario del Prc ha presentato il documento congressuale della maggioranza: «Cacciare Berlusconi e costruire l'alternativa»



«A chi ci chiede dove andiamo faccio un'altra domanda. Che cosa saremo ora se non fossimo stati a Genova, se non ci fossimo liberati dello stalinismo, se non avessimo marciato con i movimenti, se non avessimo introdotto l'idea e la pratica della nonviolenza? Saremo una inutile formazione ortodossa». E' forse il momento più emozionante dell'ampio discorso del segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, alla presentazione del documento congressuale L'alternativa di società. Un discorso complesso che ripercorre le tappe di un lungo cammino. Con orgoglio. Lo stesso delle donne e degli uomini presenti che, alla domanda «che cosa saremo ora se?», scoppiano in un lungo applauso. Non rituale, non di maniera, ma carico di passione politica. Sono in tanti, troppi per la sala del Teatro Piccolo Eliseo, nel cuore della capitale. Stanno in piedi, seduti, ai lati e in fondo la sala. Sono dirigenti del partito, parlamentari, intellettuali, registi, tanti compagni e compagne, tutti pronti a stringersi attorno a un ospite d'eccezione: Ali Rashid, il rappresentante palestinese minacciato da Forza Italia di espulsione dal nostro paese. Lo saluta per primo la segretaria della federazione di Roma, Chicca Perugia, che introduce i lavori: «A lui - dice - va la nostra solidarietà e un forte abbraccio per l'attacco ricevuto in questi giorni. Non solo perché è un nostro amico, ma anche perché avremo detto le stesse cose». «L'unico posto in cui vorremmo che andasse - sottolinea Bertinotti - è nel libero stato di Palestina».



Sfida al partito

in vista del congresso

Il discorso del segretario del Prc vola alto. E' il discorso di un partito che vuole fare un ulteriore salto. Un grande salto. Per questo Bertinotti, in occasione del sesto congresso con cinque mozioni che considera un segno di democrazia, lancia una sfida, più sfide. Intanto al partito: «Se non passerà questa linea politica, verrebbe messa in discussione la modalità di governo del partito». La linea è presto indicata. «E' la linea di un partito che da sempre cerca una uscita a sinistra dalla crisi del movimento operaio». Niente a che vedere quindi con le accuse di voler rifare una sorta di Bolognina di Rifondazione comunista, ma una sfida di tutt'altra natura, perché diverso è anche il contesto. Il Prc non è più il partito del '98, isolato nella sua scelta coraggiosa di rompere con Prodi. Intorno c'è una sinistra allargata, dentro e fuori il Parlamento, dentro e fuori l'Italia. E' un partito più forte che vuole battere Berlusconi e costruire un'alternativa di società. «Per noi - spiega Bertinotti a proposito di una delle questioni più discusse - il governo non è un valore assoluto. La collocazione al governo o all'opposizione è una opportunità. A noi interessa andare al governo per cacciare le destre e fare un'altra politica. Non per fare qualunque politica, ma per cambiarla». Il movimento da solo non regge la sfida; la politica, senza la connessione col popolo, non ce la fa. «Si tratta di mettere insieme queste due dimensioni per fermare la guerra e il neoliberismo. Per sconfiggere Berlusconi». «Chi ci garantisce - si chiede Bertinotti tra gli applausi - che ce la faremo? Nessuno. Ma possiamo provare. Dobbiamo provare».



Per avvalorare la sua proposta, il segretario del Prc si sofferma in maniera dettagliata sull'analisi sia del governo attuale che sull'inadeguatezza delle opposizioni della Grande alleanza democratica.



La Gad: presenti proposta sul fisco

Prima di entrare in teatro le domande dei giornalisti mettono l'accento sulla cronaca. Gli attacchi della Lega allo Stato di diritto con l'idea di mettere una taglia, prima di tutto: «Costituiscono - risponde - uno strappo alla civiltà giuridica del paese, sono un soprassalto di barbarie». Poi la questione tasse: «Il governo leva dieci per dare sei, ma solo a chi è già ricco. E' una sorta di peronismo dei ricchi, con qualche mancia per i poveri, che pagano i lavoratori». E' per questa ragione che Bertinotti chiede alla Gad di presentare la sua proposta sul fisco in occasione del prossimo incontro di lunedì. Non c'è tempo da perdere. Questa destra sta «creando una desertificazione di tutte le autonomie democratiche. Non si può pensare - dice rivolto alle opposizioni - che siccome il governo è in crisi, cada naturalmente. E' quanto di più sbagliato si possa fare».



La Grande alleanza democratica deve battere uno, più colpi, connettendosi con il popolo. Con la sua voglia di cambiamento. Un popolo che non è un «blocco sociale» compatto, è una soggettività complessa, ricca, incrocio di tante esperienze e culture: il movimento operaio con la sua scalata al cielo e i suoi errori, il femminismo e il partire da sé anche in politica, l'ambientalismo, il pacifismo, tutte le culture critiche. Non è un caso che Bertinotti parta dalla sfida più grande: rinnovare la politica. Su questa strada c'è la pace, la nonviolenza. «C'è - sottolinea - una parola difficile a cui però bisogna tornare: l'ideologia. Ci hanno detto che le ideologie erano finite. Invece Bush ha vinto grazie a una ideologia forte. Noi dobbiamo partire da qui. Senza questa sfida la politica si riduce a miseria».



I giovani e la parola comunista

La sala diventa sempre più gremita. Il discorso del segretario del Prc, pur puntualizzando diversi passaggi del dibattito interno, guarda al mondo fuori del partito. Alla società che definisce «la barra» del lavoro svolto e da fare. Per fare cosa? Per vincere. «Vogliamo vincere - conclude Bertinotti - per tutto il partito, anche per quello che vorremo far perdere. Per restituire al paese una sinistra anticapitalistica, protagonista. Vogliamo vincere affinché il termine comunista possa essere inteso e fatto proprio anche da un giovane che si affaccia ora al mondo della politica».



Angela Azzaro

angela. azzaro@liberazione. it



il manifesto 27.11.04

Bertinotti lancia Rifondazione


Presentata a Roma la sua mozione congressuale: «L'alternativa di società per cacciare Berlusconi e rifondare la politica». Paletti e stop a Ulivo e alleati di sinistra

Una confederazione di sinistra? «Capisco il fastidio per le formule misere delle federazioni, delle confederazioni, gli accrocchi tra diversi partiti. Noi non vogliamo scimmiottare le forze riformiste»

di MATTEO BARTOCCI



ROMA.
«Guidare la rifondazione della politica e della democrazia costruendo l'alternativa di società». E' questa la «stella polare» che Fausto Bertinotti propone al Prc in vista del prossimo congresso. Presentando la sua mozione (intitolata «L'alternativa di società») il segretario di Rifondazione ha tracciato il futuro possibile del suo partito. Non lesinando segnali e paletti chiari verso l'opposizione interna, gli alleati dell'Ulivo e le altre forze di sinistra. La presentazione di una mozione è un fatto «inusuale per il nostro partito - ammette Bertinotti di fronte alla folla del Piccolo Eliseo - ma stavolta bisogna spiegare bene le ragioni di una scelta impegnativa». «Perché il congresso, con tutti i suoi limiti, parlerà di noi, ma soprattutto di una grande politica, e noi vogliamo vincere». Stavolta si dovrà fare chiarezza: «Vincere al congresso è la condizione unica e indispensabile per questo cammino e difendere il partito. Se non raggiungessimo la maggioranza dei consensi - avverte Bertinotti - il governo complessivo del partito dovrebbe essere ripensato». Avvisata a distanza l'opposizione interna (circa il 40%), il vero punto di partenza è una sorta di «elogio dell'ideologia», che nell'accezione bertinottiana rappresenta «l'idea di società», l'evoluzione dei pensieri «resistenziali» sopravvissuti al pensiero unico neoliberista in un corpo di principi articolato in tre «direzioni».



Idee di società: non violenza e non solo

Non violenza, altermondialismo e uguaglianza sono le tre eredità del `900 che devono passare al centro della nuova politica. Politica che se le accoglie si muoverà in due direzioni non opposte ma non sovrapponibili: dall'alto, tramite il ruolo dei partiti nell'amministrazione e nel governo; dal basso tramite la forza dei movimenti. Movimenti però (intesi nella loro accezione più vasta) che devono mantenere intatta la loro autonomia e indipendenza dal potere. «Non è che se andiamo al governo non ci sarà più uno sciopero generale - dice il segretario del Prc - perché nei movimenti c'è la principale risorsa anche della nostra politica».

«A chi ci chiede dove andiamo rispondo così, - dice Bertinotti - cosa saremmo se non fossimo stati al primo forum di Porto Alegre e a Genova, se non avessimo ripudiato lo stalinismo, se non avessimo esplorato la via della non violenza e incontrato il movimento della pace? Saremmo stati una inutile formazione ortodossa». Gli applausi scrosciano e qualcuno dalla platea sussurra: «Saremmo cossuttiani».



«I movimenti da soli non bastano»

«Il nostro obiettivo - spiega Bertinotti - pur tra mille strappi e svolte è stato sempre lo stesso: l'uscita da sinistra dalla crisi del movimento operaio. Chi dice che stiamo facendo la nostra Bolognina dice una sciocchezza. Noi vogliamo dare al termine `comunista' un significato che anche un giovane che si affaccia oggi alla politica possa intendere e fare proprio». La nuova via parte dalla crisi del comunismo, dalla critica del potere e dello stalinismo fino all'incontro con i movimenti. Il «superamento della società capitalistica» resta una «aspirazione» ma è una definizione di «partito» che si allontana dall'«identità» e si concentra invece sui «processi»: «C'è una spinta dal basso che dovremmo saper raccogliere, contaminandoci».

«Ma i movimenti - registra il segretario - da soli non bastano, anche lì ci sono fragilità e debolezze», non solo nel mondo (vedi la vittoria di Bush) ma anche in Italia. Qual è la «ratio» comune di atti berlusconiani come la desertificazione del parlamento, la controriforma della magistratura, il controllo del sistema delle comunicazioni, l'attacco alla scuola, al sindacato e al mondo del lavoro, la demolizione dello stato sociale, il peronismo fiscale... «E' la cancellazione di tutte le autonomie, e sul deserto che verrà ci sarà una sola piramide con in cima il capo del governo. E' una concezione prima che autoritaria a-democratica».



La cruna dell'ago del governo

Parte da qui la sfida che attende Rifondazione: «L'esistenza del governo Berlusconi impone alla nostra radicalità un obiettivo temporalmente prioritario: cacciare il centrodestra e costruire un governo di alternativa». E' adeguata l'alleanza guidata da Prodi? No, «è inadeguata - spiega Bertinotti - noi dobbiamo essere la spina nel fianco dell'opposizione, per arrivare rapidamente alle elezioni anticipate». Da lì la sfida del governo, che «non è il cuore della nostra proposta ma è il mezzo per la costruzione di un'alternativa di società. Stare a palazzo Chigi non è un valore assoluto, dipende da cosa si va a fare». E per stabilirlo il programma non basta, è «soltanto un accordo tra partiti, per noi il programma è un processo aperto, una costituente che viva nelle esperienze del paese e da queste costruisca la trasformazione della concezione del governo». «Abbiamo rischiato l'osso del collo quando abbiamo rotto con Prodi - ricorda Bertinotti - ma oggi questo partito è lo stesso che dice: ci riprovo, per cacciare Berlusconi e per tentare di cambiare la politica». Intanto, dice tra gli applausi, «cominciamo con l'abolire la legge 30, la riforma Moratti, la Bossi-Fini....».



L'unità a sinistra non è tra partiti

Bertinotti riconosce che esiste una «sinistra larga, collocata diversamente tra le forze politiche e che tutta insieme vuole spostare l'asse della coalizione prodiana». Per esempio ci sono «convergenze con la sinistra Ds», ma l'altolà a chi propone aggregazioni di partiti come il Pdci arriva forte e chiaro: «Capisco il vostro fastidio - dice Bertinotti alla platea - per le formule misere delle federazioni, delle confederazioni, per gli accrocchi tra i diversi partiti. Noi non vogliamo scimmiottare le forze riformiste. Dobbiamo guardare al territorio, ai movimenti, ai sindacati, alle città». Il cammino inizia da qui.