domenica 30 gennaio 2005

matrimonio?«Né domani né mai»

La Stampa Tuttolibri 29 Gennaio 2005

Sposarsi non fa romanzo

«Né domani né mai»

di Ferdinando Camon


Uno studio sul matrimonio nella letteratura taliana: fonte di «inestimabile noia» nel Machiavelli, «feroce», una forma di tirannide per Alfieri.

Da Dante a Pontiggia l'amore è sempre fuori dal matrimonio (e Svevo teorizzerà il tradimento come utile alla durata delle nozze). Lo stesso Manzoni narra «la storia di un matrimonio che non si deve fare» là dove principale ostacolo al matrimonio «non è Don Rodrigo ma l'autore stesso«

L'altro scrittore cattolico, Tommaseo, a favore della coniugalità e contro l'amore passionale. Diversamente dall'«Ortis» di Foscolo che non vuole sposare Teresa bensì amarla.

Con D'Annunzio tra i coniugi appare il figlio della colpa, mentre bisogna attendere Cassola per assistere a un vero matrimonio


SULL'indissolubilità del matrimonio cattolico si sono scontrate politica, psicanalisi, psicologia e tutte quelle che si chiamano nuove scienze umane, ma l'indissolubilità è ancora lì, un pilastro della chiesa e della cultura cattolica. Le scienze umane dicono semplicemente: lui cambia, lei cambia, i sentimenti cambiano, lui si sente tradito dal cambiamento di lei, lei si sente tradita dal cambiamento di lui, e allora perché il legame deve restare eterno e soltanto la morte può rescinderlo?

La risposta è altrettanto semplice: nel matrimonio cattolico lui non è legato a lei e lei non è legata a lui, ma ognuno dei due è legato a un terzo elemento, il quale non cambia ma resta fisso e immutabile per l'eternità. Il matrimonio cattolico è un matrimonio a tre. Quando non c'è perfetta conoscenza di questa tripla presenza, il matrimonio è nullo, mai esistito. E come entra l'amore, l'amore tra i due coniugi, in questa unione che scavalca i due? Entra (quando entra) come spinta iniziale, mozione prima all'unione; ma non è determinante perché esista o resista il matrimonio: anche se si spegne la spinta, il matrimonio prosegue, come un volontario dovere.

E' stato il romanticismo a introdurre l'idea del matrimonio come sbocco della passione. Prima il matrimonio poteva essere un accordo, e non è affatto detto che avesse minor durata. La passione era un segmento della vita, mentre il matrimonio proseguiva: di qui le concezioni del matrimonio come altro dall'amore, o come tomba dell'amore, o come negazione del sentimento, e del sentimento come pericoloso, minaccioso, rischioso per il matrimonio.

Con l'avvento della psicanalisi, un secolo fa, nel sentimento è stata fatta confluire anche la sessualità. E il matrimonio come dovere è diventato la sessualità come dovere (il "dovere coniugale"), che è un ossimoro. Il problema del rapporto fra amore e matrimonio, matrimonio e passione, matrimonio come contratto, sessualità e desiderio nel matrimonio, matrimonio come legame a tre, lo vediamo meglio quando osserviamo come ci guardano dalle altre civiltà: in questo momento c'è un film (di Ken Loach) che gira per le nostre sale con molto successo, Un bacio appassionato, ed è incentrato proprio su questo tema, la necessità o inutilità della com-presenza di amore-passione-sessualità nel matrimonio fra una europea cristiana e un pakistano islamico. Indispensabile, dice l'europea. Perché senza quella com-presenza non si parte nemmeno. Dannosa, dice l'intera famiglia islamica. Perché su quella base non si va da nessuna parte.

Non è che da noi matrimonio e amore abbiano sempre marciato insieme. Da Dante a Pontiggia, l'amore è sempre fuori del matrimonio. Svevo teorizza il tradimento come utile alla durata del matrimonio, e ci presenta una moglie che collabora al buon esisto della relazione extraconiugale del marito. Ci possono essere matrimoni e coppie sposate al centro di romanzi, ma la narrazione scorre a monte del matrimonio, perché l'amore è movimento e può far nascere il romanzo, mentre il matrimonio è immobilità e quindi non ha narrabilità.

Fabio Danelon, professore all'università per stranieri di Perugia, ha scritto Né domani, né mai (Marsilio, pp. 358, e28), un complesso e ferreo studio sul matrimonio nella letteratura italiana da Machiavelli a D'Annunzio (gli autori che "sente" di più sono Manzoni e Verga), e sospetta che all'origine ci sia la condanna della sessualità nel primo Cristianesimo, per il quale è meglio "sposarsi che bruciare", espressione peraltro non pacifica, perché per altri padri della chiesa restava meglio "bruciare che sposarsi". Istituendo il matrimonio come "sacramentum", la chiesa esigeva che dipendesse da una libera volontà. Ma volontà non è amore. Per i nostri scrittori più cattolici, Manzoni e Tommaseo, al matrimonio non serve l'amore. E non è soltanto una visione italiana.

Danelon cita Fourier, "fiero avversario d'indissolubilità e monogamia"; Schopenhauer, per il quale i matrimoni "sono finalizzati alla conservazione della specie"; Horkheimer, per il quale "il matrimonio è una mascherata dovuta a ragioni essenzialmente economiche"; Breton, "contrario a ogni repressione"; Foucault, che denuncia "la confisca della sessualità nella funzione riproduttrice della famiglia coniugale". Sono soltanto pochi esempi.

Nell'arco della letteratura italiana qui passata in rassegna, Manzoni e Tommaseo restano i due soli autori a potersi definire "cattolici", sia pure con atteggiamenti molto diversi. Manzoni non è un narratore del matrimonio, il matrimonio subentra di sghembo, alla fine dei Promessi Sposi, e vien liquidato rapidamente e imprecisamente (non si sa nemmeno quanti figli facciano Renzo e Lucia). Non è nemmeno un narratore dell'amore, non c'è amore o passione in Renzo e Lucia (c'era amore in Fermo e Lucia, ma il vero innamorato era don Rodrigo). Accingendosi a scrivere un romanzo che non aumenti la quantità di passione vissuta sulla terra, Manzoni sceglie il tempo che prepara al matrimonio. Da quella preparazione, e da quello sbocco, si sente garantito: "Il romanzo si presenta subito come la storia di un matrimonio che non si deve fare, e il principale ostacolo al matrimonio non è don Rodrigo, ma l'autore stesso".

Quel che Manzoni taglia via, Tommaseo mette al centro, e "affronta la cruciale frizione amour-passion" in questo modo: "La soluzione proposta va tutta a favore della coniugalità e contro l'amore passionale". "Egli coglie, infatti, che una volta accettata l'idea che il matrimonio debba fondarsi sull'amore, ne consegue che, venuta meno la passione, il matrimonio non possa che sciogliersi, il che è inaccettabile per chi lo ritiene un sacramento". "La felicità individuale non è un obiettivo cristiano". La conclusione "si adegua all'ossequio cristiano della pazienza, del dovere, del sacrificio".

Siamo parecchio lontani dal punto di partenza dello studio, che in Machiavelli trovava il matrimonio saturo di "inestimabile noia", "ben più spaventevole dell'inferno", e la moglie sempre pericolosa, che per essere domata ha bisogno dell'infernale Belfagor. Con la Clizia Machiavelli approdava a una desolata "rassegnazione contro i rischi della passione e le gioie della vitalità erotica". Saggia la rassegnazione, perdente la lotta. In Alfieri i matrimoni sono spesso "ferali", perché sono una forma di tirannide: l'indissolubilità sta al matrimonio come l'impossibilità della rivoluzione sta alla tirannide. "Dalla indissolubilità del Matrimonio fattosi sacramento, ne risultano quei tanti di politici mali, che ogni giorno vediamo nelle nostre tirannidi: cattivi mariti, peggiori mogli, non buoni padri, e pessimi figli". L'indissolubilità non fa un cattivo matrimonio, fa una cattiva famiglia. E una cattiva società.

E' certo, per Danelon, che Ortis "non vuole" sposare Teresa. Vuole amarla, non sposarla. Teresa sposa uno che non ama. Il padre di Teresa supplica Jacopo: "Sacrificate la vostra passione alla sua quiete". Il matrimonio come quiete, la passione come nemica della quiete. Entrando nella quiete, Teresa diventa irraggiungibile per la passione, e colui che cova la passione non ha altro sbocco che il suicidio. Nell'"Ortis", osserva di sfuggita Danelon, tutti i matrimoni sono falliti.

Nel matrimonio mastro Gesualdo entra come in una trappola, un passo dopo l'altro finisce per trovarsi prigioniero dell'incomunicabilità: il Mastro-don Gesualdo è il romanzo della coppia che non sa e non può parlarsi, la coppia di estranei: "Nessun idillio è possibile, nessuna felicità accessibile, nessuna serenità individuale che non sia effimera, fugace".

Fin qui, con Machiavelli Alfieri Foscolo Manzoni Tommaseo e Verga, siamo nel rapporto a due, lui e lei. Con L'Innocente, D'Annunzio introduce un terzo, il figlio. E' un figlio della colpa, cioè (come sempre succede) di una doppia colpa, di lui e di lei. Lei ha tradito il marito perché il marito la tradiva. Ora i due vorrebbero riunirsi, ma c'è quell'ostacolo. Il frutto della doppia colpa viene eliminato da un'altra doppia colpa, ci pensa lui ma col consenso di lei. Non è una soluzione che abbia insegnato molto ai tempi successivi. Il figlio come arma nella lotta fra coniugi è diventato di uso corrente, ma oggi non si sopprime un figlio per recuperare un coniuge, semmai si recupera il figlio e si lascia il coniuge alla sua morte. Il fatto è che oggi non siamo sulla linea (magari più avanti ma pur sempre sulla linea) esaminata in questo libro, con frequenza di risultati illuminanti e di preziose scoperte.

Si poteva proseguire, ed esaminare amore-sesso-matrimonio in Moravia Pratolini Bassani Cassola eccetera (tutti narratori di amanti, tranne Cassola, narratore di un vero matrimonio), ma non si arrivava mai all'oggi. Perché l'oggi sta dopo una doppia rivoluzione, che è il divorzio-aborto. Il matrimonio e il parto sono una scelta. La tirannide è finita. Naturalmente, visto dai cattolici, l'aborto è una tirannide dei nati sui nascituri. Ma questo è un altro discorso.

fercamon@libero.it