domenica 30 gennaio 2005

poetiun'intervista a Evtushenko

La Provincia 30.1.05

Evtushenko Il grande poeta che racconta i dolori del mondo Già dissidente durante il comunismo, racconta la Russia di oggi con le sue speranze ma anche gli squilibri di un nuovo capitalismo che «è lotta tra forti per possedere di più»

di Francesco Mannoni



Giacca nera trapuntata di fili dorati, mimica facciale da attore consumato, voce impostata, enfasi accentuata: è il grande poeta dissidente russo Evgenij Evtushenko, vincitore della XXIV edizione del premio Grinzane Cavour, l'uomo che dalla remota stazione siberiana di Zima, con i suoi versi forti, dolci e struggenti ha conquistato il mondo. A Torino ha dato ancora una volta prova della sua instancabile attività culturale divisa tra poesia, narrativa, recitazione, cinema e fotografia, incantando con la sua straordinaria sensibilità. Nato nel 1933 a Zima, da bambino è a Mosca, e nei primi anni Cinquanta compie e suoi studi presso l'istituto Gorky. Ben presto, con le sue poesie diventa il capostipite della generazione di poeti che rifiuta la dottrina del socialismo reale, e le sue richieste di maggiore libertà artistica e gli attacchi alla burocrazia stalinista ne fanno il leader dei giovani intellettuali sovietici, ma anche una sorta di sorvegliato speciale del regime. Con i suoi numerosi libri, da La stazione di Zima, Baby Yar, Selected Poems, La centrale idroelettrica di Bratsk, Non morire prima di essere morto fino a Autobiografia precoce (pubblicati da Garzanti e da altri editori) ottenne successo in tutto il mondo e si qualificò come l'interprete dell'anima russa e delle sue tante contraddizioni. Di pari passo il suo impegno politico che va dal supporto a Solzenicyn quando il vincitore del premio Nobel fu arrestato e mandato in esilio, alla grande ammirazione per Gorbaciov. Tra alti e bassi, per quarant'anni ha dominato la scena sovietica, denunciando l'antisemitismo russo, i crimini di Stalin e la burocrazia fino al crollo del totalitarismo sovietico.

Lei ha scritto: «La paura è una predisposizione genetica della mia generazione»: è ancora così?

Per la generazione nata in Russia sotto Stalin, la paura maggiore era quella di essere arrestati o di perdere qualcuno dei propri famigliari, magari al fronte. La guerra è stata tremenda, e i nostri giornali non hanno scritto la verità e rivelato che era un disastro per il popolo russo, contro il quale Stalin aveva scatenato un altro conflitto personale che ha causato la morte di venti milioni di persone. Ha ammazzato i migliori poeti, i contadini, gli operai, tutti gli spiriti liberi e indipendenti che lo contestavano. Che tipo d'uomo era Stalin? Un mostro, un perverso? Stalin era un idealista fanatico, il genere più pericoloso d'idealisti. Distruggeva l'uomo ubbidiente, e quello indipendente lo irritava perché pensava che contrastasse le idee principali del comunismo. Stalin autorizzò la proiezione dei film di Chaplin in Russia perché pensava che attraverso quel piccolo uomo umiliato dalla società capitalistica, i russi capissero che era la vittima, il bullone di una macchina complessa; ma i russi che videro «Tempi moderni», capirono la metafora e identificarono l'operaio del film con la loro condizione schiacciata dal potere dell'ideologia. Quali sono le paure nella Russia d'oggi? Le paure oggi sono diverse. Senza voler difendere Stalin, posso affermare che in Unione Sovietica la vita non era poi così tremenda. Gli idealisti comunisti volevano costruire un futuro migliore per i propri figli, e lottavano per gli ideali romantici della nazione con determinazione. Allora tutte le medicine e tanti altri servizi erano gratuiti, cosa che adesso con la riforma delle pensioni Putin vuole togliere al popolo russo. Non c'erano differenze tra la gente, i burocrati erano controllati dallo Stato e non erano bustarellizzati come adesso. C'era la lotta contro il parassitismo e non esisteva la paura di perdere il lavoro, cosa importante per la psicologia umana. In America, il Paese più ricco del mondo, esiste questa paura, e la gente vive in una sorta di paludosa apatia civica.

Lei come si trova nella Nuova Russia senza comunismo?

Ho sempre lottato e lotto con i miei poemi, e non mi formalizzo di fronte ai cambiamenti, ma nella Russia d'oggi è facile perdere il lavoro e si può essere discreditati per sempre da accuse banali come le molestie sessuali. In passato, coraggiosi giornalisti russi pagati dal governo perché la stampa apparteneva al regime, criticavano il loro padrone; oggi che tutta l'informazione è privata, questo non avviene. Le grandi compagnie proprietarie dei giornali, sono in buoni rapporti con lo Stato che dà loro molti privilegi, e i giornalisti che non seguono una certa linea, sono teneramente messi da parte, perché la libertà e l'indipendenza si sono ristrette in Russia. Non ci sono ancora sindacati forti per difendere i diritti dei lavoratori contro certi imprenditori che si comportano come imperatori in alcune province, e molti giornalisti sono stati ammazzati perché scrivevano la verità. È il capitalismo che avanza, una lotta fra poteri forti per comandare, possedere di più.

Ma è stata sempre minata in Russia la strada della verità?

Il miglior periodo della verità è stato quello di Gorbaciov, quando la libertà di pensiero era incredibile e i russi vissero una nuova era per quattro o cinque anni. Ammiro molto Gorbaciov, anche se non fu necessariamente decisivo nel momento in cui lo buttarono via come presidente. Tutti gli imperi erano al collasso, probabilmente perché come i dinosauri avevano la testa lontana dalla coda, ma l'Unione Sovietica era un esperimento della vita di molti popoli di diverse nazionalità, e queste chanches si persero dopo il colpo di Stato di Eltsin. Churchill una volta disse che Kruscev voleva saltare attraverso un abisso. Gorbaciov, ambivalente ma molto buono, innocente e onestissimo, non reagendo in tempo, si era fermato sopra un abisso.

Lei è stato dissidente attivo in uno dei peggiori momenti repressivi del comunismo staliniano e post staliniano: come ha fatto a evitare arresto e deportazione, tragedie che hanno colpito molti altri letterati?

Sin da giovane ero molto noto ed ero sostenuto dal popolo. In quel tempo c'erano molti processi ai dissidenti, ma io non avevo paura. Oltre a scrivere dei versi contro l'invasione di Praga e prendere le difese di Solzenicyn, pensavo di salvare l'idea del socialismo come una forma di religione, di cristianesimo. A volte mi hanno chiamato antipatriota, ma come si può arrestare un uomo le cui canzoni in Russia le cantano tutti? Persino Kruscev e Breznev, l'uomo che mandò i carri armati a Praga, anche se forse avrebbero voluto togliermi dalla circolazione, cantavano le mie canzoni con le lacrime agli occhi.

Come ha costruito il suo successo?

Ho sempre avuto contatti con gli operai e gli studenti. Quando ero criticato a Mosca andavo in Siberia a fare dimostrazioni con gli operai nella stazione elettrica più grande d'Europa, realizzata senza l'impiego dei prigionieri siberiani. Giovani della mia generazione distruggevano le baracche dei prigionieri dopo averci dormito per parecchie notti prima di realizzare un proprio cottage. L'ingegnere progettista del complesso simbolico, un membro del partito e del Cominter regionale, mi minacciò velatamente: «Tu sei siberiano - mi disse - e non ricordi che in Siberia il sole nasce cinque ore prima di Mosca». L'allusione era chiara, ma io non mi turbai. Il mondo ha seguito con interesse le manifestazioni nella piazza di Kiev occupata dai sostenitori di Yushenko.

Quella che chiamano la democratura di Putin permetterebbe a Mosca una manifestazione come quella fatta dagli ucraini?

In quello che è successo a Kiev non c'è niente di nuovo per me. Nei primi giorni della Perestrojka, ho partecipato a molte manifestazioni del genere. Ho sangue ucraino, russo, polacco, tedesco e tartaro nelle vene, e come tutti i russi, quando esiste un conflitto etnico più che ideologico, preferisco non parteggiare per nessuno, perché sono cose delicatissime. L'Ucraina era una madre della Russia storica, molte famiglie ucraine e russe hanno mescolato il loro sangue. È impossibile dividere l'Ucraina, sarebbe come costruire un nuovo muro di Berlino, lanciare un pomo della discordia. Queste situazioni che per me sono ferite dolorose, spesso sono provocate. Bisogna fare pace, fermarle.

Cosa pensa invece della Cecenia, e del terribile episodio di terrorismo nella scuola di Beslan?

Ho scritto un poema sui bambini di Beslan e sui tragici fatti in Ossezia, e alcuni musicisti italiani vogliono farne un'opera. In questo poema ho scritto che è una viltà quello che era stato fatto. Gli esplosivi nella scuola era come se fossero stati collocati dallo stalinismo, perché quella dei rapporti fra ceceni e russi è una storia lunga e brutta: nessuno ha dimenticato quando dopo la seconda guerra mondiale Stalin ha spedito tutto il popolo ceceno nelle steppe. C'è un'amarezza storica in ogni ceceno, molti dei quali erano eroi dell'Unione Sovietica, ma furono trattati come traditori potenziali. Conosco l'odio cieco, ma Beslan è stato un crimine imperdonabile.

Nessuna giustificazione per i terroristi ceceni quindi?

Non posso giustificare i terroristi ceceni anche se la Russia ha fatto molti sbagli, ma i bambini non avevano alcuna colpa; bisogna parlare perché molti errori potevano essere evitati.

Lei è il poeta più ascoltato dai russi e dai giovani in particolare. Perché gli altri poeti non godono del suo prestigio?

È vero, i giovani soprattutto mi ascoltano più degli altri perché non dimentico mai le lotte civili, i confronti inevitabili tra gli uomini. Forse gli altri non sono attivi come me. Ci sono molti poeti capaci in Russia, ma non scrivono di certe cose per evitare conseguenze politiche. Io scrivo su tutti gli argomenti, anche quelli che disturbano. Sogno un poeta giovane e battagliero che susciti la mia invidia. Ma ancora non appare.