mercoledì 30 marzo 2005

oggiIL GIORNO DI PIETRO INGRAO

Oggi all'Auditorium di Roma

Mercoledì 30 marzo Pietro Ingrao salirà sul palco della Sala Santa Cecilia dell'Auditorium di Roma per festeggiare i suoi novant'anni. L'evento, promosso dal Comune di Roma in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma e il Centro di Studi e iniziative per la Riforma dello Stato, vuole rendere omaggio a uno dei padri della democrazia e della sinistra italiana, che fu Presidente della Camera dal '76 al '79. Fra gli ospiti: Walter Veltroni, Gianni D'Elia, Luciana Castellina e Ettore Scola renderanno le loro testimonianze. La serata, condotta da Gad Lerner, si aprirà alle ore 18 con la lettura di una lettera, fino ad oggi inedita, scritta da Ingrao in risposta a un articolo di Goffredo Bettini del 19 gennaio 1992, pubblicato su Paese Sera in occasione della fine dell'attività parlamentare di Ingrao. La lettera sarà letta da Luca Zingaretti. Si proseguirà con la proiezione di "Tempi moderni. Il cinema di Pietro Ingrao", una lunga intervista al politico realizzata da Mario Sesti. Poi sarà la volta della musica. Per Pietro Ingrao, grande appassionato di Bach, Michelangelo Carbonara, uno dei musicisti più apprezzati della nuova generazione, suonerà "Cinque invenzioni a due e tre voci". A seguire "Preludio e fuga in la minore", di Franz List e le "Quattro sonate" di Scarlatti. Nel Foyer della Sala sarà allestita anche una mostra di quadri ispirati da Ingrao, dipinti da Alberto Olivetti nel '84. Infine saranno esposti fino al 3 aprile materiali fotografici e documentari dell'archivio del Centro studi e iniziative per la Riforma dello Stato - Fondo Pietro Ingrao.


Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti. Info 06/80241281


leggi anche - qui sotto, alla data di ieri e del 27.3 - la lettera di Fausto Bertinotti, le altre lettere dall'inserto di otto pagine di Liberazione uscito domenica 27, e gli articoli dall'Unità di sabato 26 marzo u.s.
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Corriere della Sera 30.3.05
Stasera all’Auditorium con il sindaco la festa di compleanno di uno dei padri della Repubblica
Una storia del Novecento: i novant’anni di Ingrao

LA VITA
Pietro Ingrao è nato a Lenola (Latina) il 30 marzo 1915. Laureato in Giurisprudenza e in Lettere e filosofia, durante la guerra è attivo nella resistenza. Nel ’47 è direttore dell’Unità, dal ’48 deputato comunista. Nel ’92 non si ricandida
IL COMPLEANNO
Oggi Ingrao compie 90 anni e per festeggiarlo escono due pubblicazioni: una serie di ritratti, con prefazione di Rossana Rossanda, per Silvanaeditoriale, e un volume che comprende due lettere: quella inviata da Ingrao a Goffredo Bettini, nel ’92, e la risposta, 13 anni dopo
In alto i calici per Pietro Ingrao che oggi compie novant'anni. Stasera, alle ore 18.00, nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium, lo festeggeranno Walter Veltroni, Gianni D'Elia, Luciana Castellina e Ettore Scola. La serata, condotta da Gad Lerner, vuole rendere omaggio, attraverso musiche, testimonanze, filmati e quadri, a uno dei padri nobili della Repubblica, mai fermo e sempre pronto a rimettersi in gioco. Nacque il 30 marzo del 1915 a Lenola, in provincia di Latina, ma sin da ragazzo giunse a Roma per studiare cinema al Centro Sperimentale dove, grazie a Bruno Sanguinetti, Antonio Amendola (figlio di Giovanni) e Mario Alicata, fra gli altri, maturò la sua coscienza antifascista. Laureato in lettere e giurisprudenza, entrò nella Resistenza e, seppure provvisoriamente, dimenticò il cinema e la poesia pagando un costo etico che presumiamo non trascurabile. Negli anni bellici, vissuti fra Roma, la Calabria e Milano, scoprì davvero se stesso: superò l'incantamento adolescenziale, divenne comunista, organizzò la cospirazione. Questa frenesia attivistica e partecipativa lo contraddistinse anche in seguito nei numerosi incarichi professionali e politici da lui ricoperti: direttore dell'Unità nel decennio cruciale delle scelte decisive del dopoguerra; membro della segreteria del partito nel fatidico 1956; presidente della Camera dei Deputati dal 1976 al 1979. C'è sempre stata in Pietro Ingrao una determinazione che gli fa onore: la consapevolezza di chi rinuncia all'illusione di poter conservare, soprattutto nell'agire politico, l'anima immacolata. Da lì scatta la disponibilità a non occultare i propri errori, anche se fossero clamorosi. Ecco perché la sua vecchiaia è così ammirata dai giovani, pronti a riconoscergli il nesso ineludibile fra il pubblico disaccordo proclamato nei confronti della svolta di Achille Occhetto e la recente dichiarazione di voto per Rifondazione Comunista. Eppure, nonostante questi ultimi sviluppi, l'esistenza di Pietro Ingrao sembra essere rimasta incisa nel cuore del Novecento: quando conobbe Laura Lombardo Radice e la sposò in Campidoglio, pochi giorni dopo la Liberazione della Capitale, il 24 giugno del 1944, facendo il viaggio di nozze insieme a lei sulla «circolare rossa», l'unico tram allora funzionante.

Corriere della Sera 30.3.05
In occasione del compleanno escono due omaggi a uno dei padri del Pci.
In una lettera scrisse: «È vero, ho due facce: sto dentro la misura, e la rifiuto»
Poesie e veleni, la Rossanda racconta i 90 anni di Ingrao
Maria Latella

ROMA - Pietro Ingrao raccontato da Rossana Rossanda, ma secondo un canone davvero lontano dagli stereotipi delle epopee politiche. E’ una descrizione intimista, quella della prefazione al libro che racchiude i ritratti di Ingrao disegnati da Alberto Olivetti e pubblicati da Silvanaeditoriale, una delle due pubblicazioni che oggi solennizzano i 90 anni di Ingrao. L’altro racchiude due lettere, una inviata da Ingrao a Goffredo Bettini, nel ’92, l’altra del medesimo Bettini, una risposta tredici anni dopo. Rossanda, invece, descrive. Fotografa, anzi, una mattina dell’estate 1984, «nell’atrio in ombra d’una vecchia casa di Lenola, appoggiata sui dossi del basso Lazio che nascondono il mare di Sperlonga». Già nel racconto della casa di famiglia, c’è un timbro non proprio prevedibile, gli Ingrao narrati per quel che sono, una famiglia di notabili locali, in anni in cui ancora capitava (era anzi piuttosto frequente) che il figlio del sindaco potesse diventare comunista. «Gli Ingrao facevano parte dei signori, i quali oggi sono invece di destra» si immalinconisce la Rossanda.
Pietro Ingrao aveva allora quasi 70 anni, e l’autrice dell’introduzione ai «Nove ritratti» di Olivetti descrive un uomo «...ancora giovane e teso, conchiuso in se stesso. Sembra colto in un passaggio...Riflette certo all’avanzare di un decennio torbido, e forse a distanziarsi dall’attività quotidiana al partito». Quella mattina, con Pietro Ingrao, a Lenola, c’è dunque anche Alberto Olivetti, uno dei giovani amici accolti da Pietro e Laura Ingrao che, ha detto la deputata ds Fulvia Bandoli, hanno sempre avuto un forte senso della famiglia, ma non quello del clan. Alberto Olivetti è oggi professore di estetica all’Università di Siena e dipinge, disegna, proprio come stava facendo anche a Lenola, quella mattina di ventuno anni fa. I due procedono in silenzio, ciascuno chino sulla carta che s’è scelto, uno disegna, l’altro corregge le bozze di un libro scandaloso, una prima raccolta di versi che Ingrao pubblicherà di lì a poco, con Mondadori. Rossana Rossanda ricorda:«Non tutti ne sono felici». Che succede, infatti, se un comunista tutto d’un pezzo a 70 anni si mette a scrivere poesie, pubblicandole, persino? E se quei versi «rivelassero una qualche umana nudità dell’icona politica?» «Ingrao è il partito, il compagno che sale sul podio un poco schivo, con la mano chiede di smettere gli applausi, parla ragionando, senza retorica...Il fascino che esercita su migliaia e migliaia di militanti viene dall’essere il dirigente che più ascolta ed è, assieme, il più assolutamente sicuro. Ingrao è l’alterità e la fedeltà, ben strette assieme, è tutto del suo partito, pretesa ingenua e crudele». Ingrao è un comunista «e non muterà» scrive Rossanda. Però «da quell’estate si concederà di scrivere anche per sé e in suo solo nome».
«Il dubbio dei vincitori» è il titolo dei versi che sta rivedendo, quella mattina, a Lenola. Di lì a poco, ben altri dubbi si abbatteranno sull’uomo che i ritratti tracciati da Alberto Olivetti mostrano fermo o appena aggrottato. Enrico Berlinguer è mancato da poco, in quell’estate 1984, e, scrive Rossanda, «il decennio che Ingrao ha davanti, quello che dovrebbe essere lo sfondo di una acquietata maturità, cova veleni». Pochi anni dopo, il 19 gennaio 1992, Ingrao annuncerà di non volersi più ricandidare alla Camera dei deputati ove sedeva dal 1948. In un affettuoso articolo pubblicato da «Paese Sera», Goffredo Bettini, oggi deputato Ds, scrisse che c’erano, nella vita di Ingrao, «due facce contraddittorie». Rispondendogli con una lunga lettera, rimasta fino ad oggi privata, Ingrao ne convenne:«E’ vero: sto dentro la misura, e la rifiuto».

Panorama.it 29.3.05
Lettera a un maestro di vita e di politica
Il diessino Bettini rende omaggio al grande vecchio della sinistra.
Che il 30 marzo sarà festeggiato all'Auditorium di Roma

di Paola Sacchi

Un’estate di venti anni fa durante una nuotata nel mare di Sperlonga lui, trentenne, non seppe tenere testa a quel settantenne che partì a razzo verso il largo, gridandogli tra una bracciata e l’altra: «Goffredo, ricordati quel comizio... e anche quella riunione». Guai a non ricordarsene, e non solo per il carisma del vecchio Pietro Ingrao, ma soprattutto perché il giovane Goffredo Bettini si era imposto che neppure una sedia dovesse restar vuota mentre il suo maestro parlava. E che spettacolo erano i comizi di quell’eretico capo comunista dalla personalità magnetica, che stabiliva «una comunicazione intima con la piazza», trasmettendo «emozione e forza agli altri».
Così Bettini, 52 anni, deputato ds, presidente dell’Auditorium di Roma, un borghese che nel Pci entrò «per riscattare quel che c’è di ingiusto nella condizione umana», capo morale della Quercia capitolina, definito il «Gianni Letta rosso» per il potere che esercita con eleganza e riservatezza, rende omaggio a Ingrao con una lettera in occasione del suo novantesimo compleanno. Scritta in risposta a quella che Ingrao gli inviò 13 anni fa, quando lasciò la Camera dei deputati, per ringraziarlo di un articolo scritto su Paese sera.
Il carteggio è raccolto in un volumetto, anticipato da Panorama, che l’editore Alberto Olivetti ha realizzato per la serata in onore di Ingrao organizzata il 30 marzo all’Auditorium di Roma. Ci saranno testimonianze del sindaco della capitale, il diessino Walter Veltroni, con il quale Bettini ha riscoperto un feeling «che va ben oltre la politica», di Luciana Castellina e di Ettore Scola, musiche di Bach e Liszt. La lettera di Ingrao sarà letta dall’attore Luca Zingaretti. Ne viene fuori un Ingrao inedito che parla a Bettini anche della comune passione per la buona tavola (piatto preferito è la pasta al forno) e per il cinema. Ma soprattutto per la politica. In cui Ingrao, oggi approdato a Rifondazione comunista, scrive di essere stato «trascinato a pedate dalla resistenza a Hitler». La politica per lui è «il luogo ideale dove si difendono gli umili e gli oppressi». Una sofferenza, la loro, che confessa di sentire «penosamente», «perché pesa a me: mi dà fastidio, mi fa star male». E quindi la politica «in un certo senso non è un agire per gli altri, è un agire per me». Ma Ingrao rivela anche che per lui, che è stato pure uomo delle istituzioni (nel ‘76 divenne il primo presidente comunista della Camera), la politica non può essere tutto: «Caro Goffredo, a fare un po’ di letteratura si potrebbe dire che io sono “scisso”... Sapessi quante volte quell’intervenire nella politica mi appare di una lontananza astrale dai miei stati d’animo più profondi». E conclude con una nota di divertita autocritica: «Questa lettera, lo so, è segnata di narcisismo. E alla mia età ciò è scandaloso... Tu sai che il solo vero consiglio che ho cercato di darti è stato: sforzati di essere libero».
Se Bettini non avesse seguito quel consiglio, non sarebbe probabilmente mai riuscito nella missione impossibile di far dichiarare pubblicamente a Pier Paolo Pasolini, nel 1975, il suo voto al Pci. E non avrebbe coltivato, scrive ancora al suo maestro, insieme alla lezione ingraiana «di incanto e disincanto» anche quella impartitagli dal «salubre scetticismo illuminista» di Gerardo Chiaromonte e dalla cultura classica di Paolo Bufalini, due dirigenti della cosiddetta ala destra del Pci alla quale si contrapponeva l’ala sinistra ingraiana.
Per Bettini, «il Pci è un patrimonio ancora valido per la sinistra dell’oggi. E per fare una buona politica contro la sclerosi del potere».

Il Mattino 29.3.05
Antonio Galdo

Non sarà semplice, per un uomo così refrattario alla retorica dell’autocelebrazione come Pietro Ingrao, reggere ai festeggiamenti previsti per i suoi 90 anni. Ma l’omaggio al Grande Vecchio della sinistra italiana, un nonno più che un padre, può essere considerato un affettuoso e modesto risarcimento a una dirigente politico che non nasconde né dissimula il peso di una sconfitta esistenziale. Ed anzi, con la vitalità di ex cospiratore riesce ancora ad interrogarsi, a cercare i perché, a rintracciare gli angoli nei quali filtra la luce di una possibile rivincita a beneficio delle nuove generazioni. Ma l’unicità di Ingrao non è contenuta nella sua biografia politica, pure così densa e affascinante. Se oggi si dovesse scegliere un personaggio-simbolo attraverso il quale rappresentare, in un romnazo o in una fiction, tutta la parabola del comunismo, il suo incurvarsi tra il Bene e il Male, la scelta non potrebbe non cadere su Pietro Ingrao. All’alba del Novecento, il «secolo terribile», questo giovanotto della provincia ciociara sbarca a Roma con le ambizioni di un intellettuale alla ricerca della sua fortuna e del riconoscimento del talento. Pietro è un ragazzo lunatico, introverso, curiosissimo. Scrive poesie gonfie di retorica anni Trenta, vuole studiare il cinema che significa il sogno americano, gioca molto bene a tennis e non esclude un futuro sportivo. A tutto pensa tranne che alla politica. E quando ci si trova dentro, trascinato dagli eventi, dalla Storia, da un senso di ribellione all’ineluttabile, Ingrao si trasforma perchè, senza alcuna lucida consapevolezza, diventa prigioniero di quella dimensione. Per lui, come per intere generazioni di militanti, la politica diventa il tutto, non una parte come sarebbe naturale. L’epopea del Novecento italiano, l’unicità di un Paese povero, semi-distrutto, privo di qualsiasi credibilità internazionale, che nel giro di pochi anni diventa una rispettabile Nazione, è incomprensibile senza questa chiave umana che Ingrao simboleggia nella durezza mediterranea del suo volto scolpito. La mistica della politica come «scelta di vita» ha prodotto una sorta di sdoppiamento di Ingrao, ed è qui la sua ricchezza letteraria. Il poeta, l’esteta, l’uomo interessato alle «altre» dimensioni, ha dovuto scomparire, autoescludersi di fronte a quella necessità, indivisibile dalla politica, di «stare in campo» (lui preferisce «nel gorgo»), occuparsi di concretezze quotidiane, diventare spietati con l’avversario e, laddove è necessario, anche con il compagno di partito. La ragion politica non ammette sfumature, non concede attenuanti, perchè la debolezza è un regalo al nemico mentre la spietatezza è un codice di comportamento. Poteva un uomo così non perdere la sua battaglia? No, non poteva. Ed è straordinario, per forza e per limpidezza, il modo con il quale oggi Ingrao, novantenne, mette insieme, tassello su tassello, i pezzi frantumati dell’apocalisse comunista. Già, perché il comunismo di Ingrao, ridotto all’osso di una sintesi letteraria prima che politica, è contenuto in questa sua frase autobiografica: «Ho speso un’esistenza battendomi per cose essenziali: il diritto di mangiare, crescere, istruirsi, curarsi, essere creativi nel proprio lavoro». Punto. Quanta più alta è stata l’aspirazione di cambiare il mondo, di rovesciare gli ultimi e trasformarli nei primi, tanto più oggi brucia la ferita di come è maturata la sconfitta, di come la crudeltà dei mezzi è diventata inversamente proporzionale alla grandezza del fine. Il giudizio pesantissimo di Ingrao sul leninismo, spietato come lo stalinismo, la sua critica radicale al comunismo italiano che non ha saputo, con la sua identità del tutto anomala rispetto all’Unione sovietica, prendere in tempo le distanze dalla mostruosità di un regime e dalle sue nefandezze, sono argomenti che ormai devono entrare nei libri di storia. Triturati dalla cronaca perdono il loro significato, e si riducono soltanto a schegge impazzite di quella propaganda che pure appartiene ai modi della lotta politica. Ciò che veramente conta, nel caso di uomo che a novant’anni si guarda indietro senza rinunciare all’orizzonte del domani, è il suo dolore, il dubbio, parola magica nel vocabolario ingraiano, di un errore più pesante dei suoi effetti. Di qualcosa che ha spostato l’asse di una vita condivisa con una comunità più che con i militanti e i dirigenti di un grande partito di massa. L’ultima mossa politica di Ingrao, a conferma di un’esistenza che si è incallita in questa dimensione, è arrivata appena qualche giorno fa. La sua adesione a Rifondazione comunista, annunciata attraverso il classico rituale di un congresso, non è un gesto disperato nè la concessione senile a chi ha saputo meglio adulare il Grande Vecchio. È una scelta. Un’ennesimo tentativo di difendere ciò per cui si è «spesa l’esistenza». I motivi di distacco dalla sua famiglia, il Pci-Ds, sono noti e irrisolvibili: Ingrao non considera più gli eredi del suo partito comunista come una forza della sinistra, non accetta alcuna mediazione con le necessità contemporanea di nuovi conflitti armati per difendere la democrazia ed i suoi valori, non sente il vincolo di un’appartenenza e tantomeno la possibilità di un lessico comune. Vede invece, ed è questa la novità che lo ha portato a un gesto finora sempre escluso (iscriversi a un partito diverso dal Pci), la possibilità di creare una nuova forza di sinistra, molto più larga dell’attuale recinto di Rifondazione, aperta e attraente per quelle nuove generazioni sulle quali il fascino di Ingrao non si è mai spento. Il «compagno disarmato», insomma, vede uno spiraglio per il suo comunismo, per la resurrezione del desiderio di «battersi per cose essenziali». E dice: io ci sto. Con la mia storia, ed i miei novant’anni. Una scelta che non può non destare rispetto e, mai come in questo caso, un semplice saluto di accompagnamento: auguri, onorevole Ingrao.