mercoledì 20 aprile 2005

Emanuele Severino e Benedetto XVI

Corriere della sera 19.4.05
«Il relativismo è una tempesta
e porterà alla morte degli eterni»

Ieri mattina , durante la messa «Pro eligendo Romano Pontifice», l’omelia pronunciata dal cardinale Joseph Ratzinger era di carattere filosofico oltre che teologico, puntando l’indice contro i «venti di dottrina che abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni». Il decano del Sacro Collegio ha preso netta posizione contro le numerose correnti ideologiche e le «mode del pensiero» che hanno agitato «la piccola barca» di molti cristiani. In particolare, ha condannato senza mezzi termini «la dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura soltanto il proprio io e le sue voglie». Un discorso che riguarda indubbiamente la fede ma che investe, come dicevamo, anche l’ambito della filosofia contemporanea. Per questo, abbiamo rivolto alcune domande a Emanuele Severino, uno dei maestri del nostro tempo.
Professor Severino, che cos’è oggi il relativismo?
«Quando si parla di relativismo ci si riferisce alla filosofia. E la Chiesa va innanzitutto ammirata perché anche in questa occasione, attraverso le parole di Ratzinger, mostra la propria capacità di capire il carattere decisivo della filosofia nella storia dell’uomo. Dopo la fine dell’Urss, con le ovvie differenze di impostazione, la Chiesa è rimasta l’unica istituzione planetaria a valorizzare questo carattere».
Ma Ratzinger condanna il relativismo?
«Da decenni vado dicendo che la Chiesa sottovaluta la potenza del pensiero filosofico del nostro tempo e lo riduce, appunto, a semplice relativismo. Non riesce a scorgere la potenza concettuale che sta alla radice del relativismo e delle altre forme del pensiero contemporaneo».
Il cardinale ha parlato di «dittatura del relativismo» che non riconosce nulla come definitivo...
«Non si tratta di dittatura ma dell’invincibilità del pensiero del nostro tempo, che non è semplice scetticismo ingenuo e nemmeno semplice negazione dogmatica della verità, dell’etica e della realtà assolute».
Perché invincibilità?
«L’invincibilità è tale soltanto rispetto alla grande tradizione culturale dell’Occidente. Questo discorso invincibile lo si può sommariamente indicare così. Se esiste una verità eterna o un essere eterno, essi sono presenti ovunque: ora, nel passato, nel futuro; e in questo modo essi riempiono ogni vuoto, ovvero quello che deve esistere affinché ci possa essere divenire e storia».
Che cosa intende, professore, con queste due ultime parole?
«Mi riferisco ai processi che vanno via via riempiendo e producendo vuoti, creando e annientando».
E allora?
«Ma riempiendo ogni vuoto, allora l’eterno cancella proprio quel divenire storico, che anche per la tradizione è l’evidenza suprema. Si evoca Dio per fondare, illuminare, salvare il divenire che sta dinanzi agli occhi. Concludendo, il discorso invincibile mostra che se c’è un eterno non ci può essere il mondo».
Mi sembra che Ratzinger condanni il vento che condiziona ogni giorno le dottrine in cui il mondo di oggi crede...
«Non si tratta di un vento, o si può parlare così soltanto in relazione alla superficie degli eventi. È una tempesta quella che porta invincibilmente alla morte degli eterni e di Dio».
E la verità in cui crede il cristiano?
«Tutto il discorso di Ratzinger è rigoroso e ripropone, anche a proposito del relativismo, una tematica ricorrente nelle encicliche e nei documenti ufficiali della Chiesa degli ultimi decenni. Ma la verità del cristianesimo è fede, e cioè è volontà che il mondo abbia un senso piuttosto che altri, i quali avrebbero lo stesso diritto di farsi valere. Questo fatto porta la fede in una pericolosa vicinanza alla volontà di potenza e alla violenza. Naturalmente al di là delle intenzioni, quasi sempre molto nobili, degli uomini di Chiesa».
Ma senza la fede, parafrasando l’omelia di Ratzinger, che cosa rimane all’uomo?
«Indubbiamente l’uomo non può vivere senza una fede, così come è difficile sopravvivere senza ingannare. La necessità della fede non significa la sua verità, inoltre si fa avanti una fede più forte di quella religiosa: le montagne sono mosse ormai sempre più dalla fede nella tecnica».
Ratzinger condanna il relativismo perché le cose e i valori di cui è portatore scompaiono presto...
«La Chiesa e tutta la nostra cultura affermano l’annientamento delle cose del mondo. Su questa persuasione, che è l’autentico omicidio ed enticidio originario, è inevitabile che si arrivi alla morte degli eterni e di Dio. Ma la follia più radicale sta proprio in quella persuasione che identifica le cose e il nulla, sicché la non-follia è l’apparire dell’eternità di ogni situazione, stato, istante del mondo. Il pensiero di Spinoza appartiene a quella follia, ma possiamo servirci di una sua grande affermazione che si legge nell’ Etica : "Sentimus experimurque nos aeternos esse", ossia: "Sentiamo e sperimentiamo di essere eterni". Ma l’eternità autentica non è quella di un padrone, creatore, demiurgo che domina le creature e il divenire».