lunedì 30 maggio 2005

Ernesto Caffo

La Provincia 30.5.05
Lo psicologo Ernesto Caffo, fondatore di «Telefono azzurro», analizza la dinamica di protezione che inevitabilmente scatta dopo ogni dramma «La famiglia non abbandonerà l'omicida, nessuno l'accusi per questo»
Ernesto Caffo

La famiglia di Maria Patrizio l'ha difesa avvalorando fino alla fine la tesi della rapina finita in tragedia per il piccolo Mirko. Ora sono proprio loro, i familiari della giovane mamma, ad aver bisogno di molto aiuto per accettare un dolore tanto grande. Lo psicologo Ernesto Caffo, fondatore di Telefono Azzurro, raggiunto al telefono analizza la dinamica di protezione che si sviluppata attorno alla mamma omicida. «In questo, come in tanti altri casi, quando il dolore di un lutto derivante da una situazione traumatica emerge si cerca di rimuoverlo - dice lo psicologo Caffo - È come se non lo si volesse vedere perché si ritiene che non sia possibile, si cerca di non portare alla ragione una serie di elementi che erano magari presenti già prima, ma che nessuno aveva avuto il coraggio o l'abilità di leggerli. Il lutto mette infatti in discussione anche il proprio comportamento nei confronti delle persone che stanno attorno. Ci si chiede: come mai non mi sono accorto che aveva problemi tanto seri?». La valenza del legame affettivo vince su qualsiasi altra considerazione: «nel dolore si ritiene - aggiunge Caffo - che gli elementi positivi del legame siano più importanti di tutto. Il legame in famiglia spesso è fatto di tanti affetti e ciò che vince è la paura di perdere la persona. Questo succede anche con i bambini maltrattati e gli adulti che subiscono violenza. C'è un legame che non si vuole in nessun modo perdere e spinge a negare l'evidenza». Ed è a questo punto che secondo Caffo la famiglia di Maria Patrizio ha bisogno di grande aiuto, non di sentirsi puntare l'indice per aver difeso la donna. «Alla famiglia di questa mamma bisogna dare anche tempo di elaborare la situazione, bisogna aiutarla a capire, sapendo che questo porta una profonda sofferenza e che, se non guidata, questa elaborazione rischia di essere fortemente distruttiva. Il percepire un dramma come sta avvenendo ora può fare saltare le protezioni, portare alla separazione o alla malattia mentale. Si mettono in gioco gli investimenti fatti sulla persona amata, il futuro». E non sarebbe solo dei parenti stretti la rimozione dell'evento traumatico, «anche i vicini di casa in parte vivono la stessa condizione, il negare, il non credere è anche un modo per tirarci fuori, per proteggere le nostre competenze sul fatto, inconsciamente per non voler riconoscere di non essersi accorti del disagio della persona che ha ucciso». E si arriva al disagio di Maria Patrizio: «Sappiamo che il disagio non porta a situazioni drammatiche improvvise, ci sono sempre segnali da raccogliere con molta attenzione, anche quando sono spie di momenti di crisi passeggera. Ciò che sarebbe importante fare sarebbe costruire una cultura della responsabilità della cura dell'altro, in una società come la nostra che è sempre più frammentata e ristretta. Dobbiamo fare in modo che cresca una maggiore solidarietà attorno alle persone e che si possa intervenire con aiuti adeguati e tempestivi». Per una madre che vive un momentaneo disagio può, secondo Caffo, essere molto importante avere persone a fianco che la aiutano, anche nei compiti più semplici. «Il poter trovare un aiuto in un momenti di difficoltà può servire come il parlare, è dove si parla molto poco che nascono i problemi, il silenzio di chi sta attorno alla persona in difficoltà è come scaricarsi di responsabilità». Ma i casi di depressione post partum sono tanti? «Ci sono dati dell'Organizzazione mondiale della sanità a dirlo, sono migliaia, vengono rilevati in ogni reparto di ostetricia, rilevati e magari non seguiti». Quindi in Italia non ci sarebbe bisogno di strutture di aiuto alle neomamme in crisi. «In gran parte degli ospedali italiani l'assistenza psichiatrica e psicologica adeguata c'è già, basta la sensibilità dell'ostetrica che quando si accorge di una mamma fragile, e ci si accorge, può chiedere un aiuto al collega psicologo. La mamma in difficoltà va supportata per il dopo, per quando torna a casa, e spesso solo per pochi giorni». Le depressioni per fortuna nella maggior parte dei casi non sfociano in omicidi «ma in atti di violenza sì, ci sono mamme che scottano i bambini mettendoli a fare il bagno nell'acqua troppo calda, o che li vestono poco quando fa freddo, sono tutti comportamenti legati all'inadeguatezza dell'essere genitore». Questa inadeguatezza deriva da molteplici fattori, se è vero che, come sostiene l'Istituto superiore di sanità, fare la mamma non è istintivo come si pensa ma: «è un'attività complessa che richiede l'apprendimento di molte tecniche e astuzie varie. Non deve essere un dramma se inizialmente si incontra qualche insuccesso». «La fragilità di una neomamma - conclude Caffo - non dipende dall'età, può essere acuita dal fatto che la persona è sola o vive la maternità in modo difficile, o che non riesce ad avere un buon rapporto con il partner. Il bambino a quel punto diventa un capro espiatorio, anche perché quando è piccolissimo è un oggetto d'amore che spesso non gratifica. Il passaggio dall'adulto al genitore non è naturale».