giovedì 30 giugno 2005

storiaMussolini

Liberazione 30.6.05
L'antisemitismo del giovane Benito Mussolini
Francesco Germinario

Un saggio di Giorgio Fabre mette in luce le radici razziste del leader del fascismo, ben prima del suo arrivo al potere. Dal dibattito sulla razza di fine Ottocento alla pregiudiziale antiebraica di settori della stessa sinistra socialista

Come inquadrare la svolta antisemita del regime fascista, nel 1938, all'interno della biografia politica di Mussolini? E quest'ultimo divenne antisemita solo a partire da quel periodo, oppure atteggiamenti e istanze antisemite datavano nei suoi scritti e nelle dichiarazioni già da tempo?

Questi sono gli interrogativi cui cerca di rispondere il ponderoso e molto documentato saggio, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita, uscito in queste settimane per i tipi di Garzanti (pp. 508, euro 25,00). L'autore del saggio, giornalista al settimanale di destra Panorama, non è nuovo a studi sull'antisemitismo fascista.

Il libro di Giorgio Fabre analizza l'atteggiamento di Mussolini davanti alle teorie della razza e all'ebraismo dagli esordi sovversivi del giovane socialista romagnolo fino all'ascesa al potere nell'ottobre del 1922. Malgrado la ormai sterminata bibliografia su Mussolini, Fabre si muove su un terreno pressoché vergine. Del resto, il suo libro incrocia necessariamente alcuni temi e aspetti di quell'enorme dibattito sulla "razza" che caratterizzò la nostra cultura dall'ultimo ventennio dell'Ottocento fino alla prima guerra mondiale. Fu un dibattito che vide la partecipazione di medici, psichiatri, sociologi, criminologi, demografi, giuristi e che solo negli ultimi anni la nostra storiografia ha cominciato a ricostruire nelle sue voci più significative, cominciando a sfatare il mito strapaesano e criptocattolico per cui l'Italia è stata un paese immune dalle culture razziste.

Il giovane Mussolini studiato da Fabre è l'intellettuale del Novecento «che in Italia e non solo ha scritto (e pensato) più a lungo in termini di razza e razzismo» (p. 59). Almeno nei primi anni dieci sarebbe una forzatura parlare di un Mussolini antisemita; ma certamente dai suoi numerosi scritti traspare quella che Fabre definisce «un'ostilità sedimentata (...) anche se controllata» (p. 76) nei confronti degli ebrei. E' comunque necessario riconoscere che a determinare una spiccata sensibilità del giovane Mussolini nei confronti delle questioni della razza fu certamente una cultura personale in cui le suggestioni provenienti dai sociologi élitaristi (a cominciare da Pareto) si integravano con le istanze provenienti dalla frequentazione di opere di autori razzisti, fra i quali spiccavano Gobineau e quel Chamberlain teorico dell'arianesimo, che anche Hitler avrebbe poi inscritto nella galleria dei suoi maestri.

Del resto, anche in certa cultura socialista, i pregiudizi antiebraici erano tutt'altro che infrequenti, sol che si pensi all'opera di un Proudhon. Gli esordi di Mussolini sulla stampa socialista italiana avvengono qualche anno dopo che in Francia, sull'onda dell'Affaire Dreyfus, si era formata la destra del Novecento: una destra "rivoluzionaria", protestataria, esplicitamente antisemita e, a nostro avviso, anche attraversata da forti inclinazioni pretotalitarie, anticipatrice, insomma, di molte caratteristiche ideologiche e politiche dei successivi movimenti fascisti. Dopo alcune esitazioni iniziali, il movimento operaio francese, sotto la guida di Jaurés, si schierò a difesa delle istituzioni repubblicane minacciate dalle destra. Questa scelta di campo fece in modo che l'antisemitismo, fino ad allora molto presente in campo socialista, divenne invece una componente significativa del panorama ideologico delle destre. Anche in Italia, seppure a sinistra continuerà a persistere qualche stereotipo antiebraico, quale quello che identificava l'ebreo col capitalista, a partire dagli anni dieci l'antisemitismo divenne appannaggio della destra. I nazionalisti, ad esempio, faranno dell'antisemitismo esplicito con uno dei loro teorici, Francesco Coppola, e con un Paolo Orano, un transfuga del sindacalismo rivoluzionario approdato al "socialismo nazionale"; non a caso entrambi saranno esponenti del regime, e il secondo giocherà addirittura un ruolo di rilievo nelle campagne antisemite fasciste.

Quando possiamo parlare di un Mussolini esplicitamente antisemita? Sicuramente a partire dal 1917-18. Sono gli anni in cui in Europa comincia a diffondersi la teoria per cui la rivoluzione bolscevica era parte di un più generale complotto ordito dagli ebrei; che gli ebrei, considerate le origini ebraiche di numerosi dirigenti bolscevichi, da Trotsky a Zinov'ev, dopo avere preso il potere in Russia, stavano estendendo il complotto in Europa, suscitando rivoluzioni ad opera di altri ebrei, come la Luxemburg, Bela Kun ed altri. E' in questo periodo che nelle destre estreme europee è elaborata la categoria concettuale di "giudeobolscevismo", destinata a svolgere un ruolo fondamentale nell'ideologia nazista e nell'antisemitismo fascista.

Certamente, come ribadisce Fabre, il fascismo non aveva programmi antisemiti. E tuttavia, almeno due aspetti è necessario sottolineare in proposito. Il primo è che fin dai primi anni Venti il fascismo ebbe come interlocutori i movimenti antisemiti dell'estrema destra europea che, a cominciare proprio dal nazismo, guardavano sempre con molto interesse al movimento mussoliniano. Il secondo è che, quando nell'ottobre del 1922, il fascismo arrivò al potere, era pur sempre un movimento politico in cui le voci antisemite erano circoscritte ad alcuni settori, ma pur sempre presenti.

In Italia è in uso da anni un giornalismo di destra che pretende dalla carta stampata o da qualche pulpito televisivo, di spacciarsi per "revisionismo storico". In genere si tratta di giornalisti che ben difficilmente hanno frequentato una biblioteca e quasi sicuramente mai un archivio per scrivere i loro libri. Gli storici futuri avranno materia di studio, per questo atteggiamento che probabilmente un Gramsci derubricherebbe come paccottiglia utile per soddisfare il modesto appetito intellettuale del popolo delle scimmie. Al contrario dei suoi colleghi "revisionisti", Fabre ha consultato gli archivi e la consistente bibliografia sull'argomento. Inoltre, il suo è un libro che costringe a "rivedere" molti giudizi storiografici; né mancano giudizi critici nei confronti della storiografia italiana e internazionale, a cominciare da quella marxista, per finire a De Felice e Mosse. Ebbene, i colleghi di Fabre che chiacchierano di "revisionismo storico" o "revisionismo liberale" sono invitati ad andare a scuola da Fabre per apprendere i primi rudimenti del mestiere di storico.