giovedì 28 luglio 2005

"IL RIFORMISTA" DEL 27.7.05, un articolo "completo"

ricevuto da Pasquale Di Fonzo

il Riformista 27.7.05

Primarie, oltre il 12% il comunista si sentirà un vincitore
Bertinotti nel covo dei «fagiolini» lancia la sua lotta di liberazione


«Perché io valgo» diceva una vecchia pubblicità. Perché io «voglio» sembra dire invece lo slogan di Bertinotti. Tanti piccoli post-it, come quelli che si tengono accanto al telefono per ricordarsi degli appuntamenti, con scritta sopra quella parola - voglio - cui ognuno è chiamato ad aggiungere i propri desideri, in uno spazio bianco chiuso dalla scritta: «Bertinotti presidente» (vedere il sito allestito dall'agenzia Pro-forma, la stessa di Vendola, faustobertinotti.it, cui il segretario non mancherà di «collegarsi» spesso).
Dalla libreria romana Amore e Psiche, il candidato Fausto ha lanciato così ufficialmente la sua campagna per le primarie. Prima ha spiegato cosa «vuole» lui, quindi ha ascoltato cosa «vogliono» i suoi sostenitori. E la prima notizia è proprio questa, perché in platea siede anche quella controversa figura di psichiatra e di intellettuale che risponde al nome di Massimo Fagioli.
Filo conduttore della campagna bertinottiana è lo scontro tra «popolo ed élite» che si vince anche con nuove forme di partecipazione.Di qui la scelta di candidarsi alle primarie. Il discorso bertinottiano parte dall'«orizzonte primo» della sua politica, non violenza e pacifismo, con compiaciuto riferimento alla scelta di inserire nel manifesto della coalizione il riferimento all'articolo 11. «Dove sta scritto che l'Italia ripudia la guerra - chiosa Bertinotti - che vuol dire ritiro immediato dalle truppe dall'Iraq». Quindi il governo Berlusconi come «monumento al fallimento delle politiche neoliberiste», da cui discendono le primarie come grande mobilitazione per «bandire quelle politiche, non solo per cambiare un ceto di governo». Per passare poi al punto centrale: lotta al precariato «che deruba di futuro tutti, a cominciare dalle nuove generazioni», perché al «primato del mercato» bisogna opporre la «valorizzazione» del lavoro, dell'ambiente, delle persone. E per il segretario del Prc occorre farlo cominciando con la «restituzione del maltolto, dal potere d'acquisto ai diritti sociali e di cittadinanza» e con il «recupero dei beni comuni, che vanno restituiti alla collettività, come l'acqua». Dunque lotta dura e senza paura alla precarietà. E abrogazione di legge 30 (Biagi), riforma Moratti e Bossi-Fini. Perché «il cattivo lavoro risucchia la buona scuola» e siccome poi (la precarietà) incontra lo stesso delle resistenze nella società, ecco che «servono gli immigrati da sfruttare come veicolo per romepere quelle resistenze». Ma il candidato Fausto pensa davvero di vincere? Bertinotti considera un buon risultato andare oltre il 12% ma la vittoria è raggiungere il 50 più uno (e il caso Vendola, ha spiegato poco prima, dimostra che è possibile). Seguono domande di assai diverso tenore.
Perché siamo pur sempre a due passi Pantheon e a mezzo metro dal palazzo in cui soggiornò Stendhal - come ricorda la targa sopra la stesta dei vigili che chiudono la via al traffico - nella libreria progettata «a partira da un'idea di Massimo Fagioli» (da tempo in rotta con la società psicoanalitica italiana) animatore di «seminari» seguiti da un folto gruppo di appassionati seguaci, noti a Roma come «fagiolini» (primo incontro tra fagiolini e bertinottiani, il dibattito con Pietro Ingrao a Villa Piccolomini del 5 novembre scorso, affollato dai fan dell'autore di Teoria della nascita e castrazione umana). Se non si tenesse conto dell'uditorio si rischierebbe di fraintendere la piega che prende il dibattito con parole che lo stesso Bertinotti certo non avrebbe mai pronunciato nel salotto di Bruno Vespa, ma nemmeno a un'assemblea della Fiom. A cominciare dalla necessità di «spezzare il paradigma conoscitivo» perché siamo ancora «figli delle categorie evoluzionistiche» (quelle secondo cui innovazione e modernità portano il progresso sociale). Proseguendo con quel cupo «Noi non possiamo espungere dai nostri pensieri l'incombenza della crisi. Il bivio è dinanzi a noi: liberzione o catastrofe». E a proposito della sua idea di «comunismo come promessa», al centro di molte domande: «Noi viviamo in una sorta di attesa, in una fase di cui abbiamo la premonizione, perché le parole di cui abbiamo bisogno ancora non ci vengono, anche se ne abbiamo la suggestione». Chiedendosi infine come «teoria e prassi si ricompongano in una pratica collettiva di liberazione di cui ci mancano - appunto - le parole, ma di cui forse cominciamo ad avere qualche lettera». Finale difficile, che risponde a una domanda difficile di Giulia Ingrao (sorella di Pietro) che quasi lo invita ad abbondonare la non violenza. Finale che ha però almeno il pregio di aprire alla speranza dopo molte citazioni di Rosa Luxemburg sulla percezione della crisi di civiltà e della catastrofe imminente, tra applausi sroscianti.