giovedì 29 aprile 2004

storia:la congiura dei Pazzi

Corriere della Sera 29.4.04

Lauro Martines ricostruisce il tentativo di assassinare Lorenzo il Magnifico compiuto nel 1478 durante una messa solenne

Un aprile insanguinato nella Firenze medicea

di ROSARIO VILLARI




Uno dei punti fermi e dominanti del pensiero politico europeo tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo è la condanna della ribellione. Spesso si è attribuito questo atteggiamento di condanna al diffuso conservatorismo della cosiddetta età barocca. Però anche personaggi inquieti e «desiderosi di novità», come allora si diceva, coltivarono in quel periodo la stessa opinione. Tommaso Campanella, per esempio: «Il nome di ribellione - scrisse in una delle sue opere politiche più importanti - porta seco infamia e odio». Già prima di lui, Niccolò Machiavelli aveva dedicato alcune pagine famose all'analisi e alla condanna delle congiure: ma allora il giudizio negativo non era così diffuso e generalizzato come sarebbe diventato in seguito. Al tempo di Machiavelli e nella seconda metà del secolo precedente, alla quale si riferisce l'affascinante libro di Lauro Martines tradotto ora in italiano ("La congiura dei Pazzi. Intrighi politici, sangue e vendetta nella Firenze dei Medici", Mondadori), la parte più rilevante della cultura aveva idee diverse e anzi opposte: l'esaltazione del tirannicidio, della ribellione violenta contro il tiranno, era un luogo comune della cultura politica e letteraria. Accompagnandosi allo spirito di fazione, a una illimitata spregiudicatezza politica (praticata, ovviamente, anche dalla Corte pontificia) e alla volontà di consolidare la ricchezza con il potere, questo luogo comune servì in qualche misura a dare una giustificazione ideale a quell'intreccio di congiure, colpi di Stato e rivolte che si oppose ai processi di sviluppo e di consolidamento degli Stati che alla fine del Medioevo si erano formati nella Penisola italiana.

Il mutamento di giudizio sulla ribellione fu favorito, nel caso particolare dell'Italia, dalla riflessione sulle cause che condussero il nostro Paese alla perdita della sua libertà e all'instaurazione di un dominio straniero esteso a gran parte della Penisola. Le congiure e i complotti della seconda metà del XV secolo furono appunto considerati come una delle cause più importanti dell'indebolimento dei singoli Stati e dell'instabilità del sistema politico, che provocarono dapprima l'invasione francese di Carlo VIII, successivamente lo svolgimento delle lunghe e strazianti guerre tra Francia e Spagna sul suolo italiano e infine l'instaurazione del secolare dominio spagnolo.

Insieme alla congiura dei Porcari a Roma contro il Papa Niccolò V (1453), a quella ispirata dall'umanista Cola Montano a Milano nel 1476 e alla grande sollevazione dei baroni napoletani contro il re naturale e legittimo Ferdinando d'Aragona nel 1484, un episodio particolarmente importante e comunque, per certi aspetti, il più spettacolare, fu il tentativo fiorentino, ordito nel 1478 dalla famiglia dei Pazzi con ampi e ben noti appoggi esterni, di rovesciare la signoria dei Medici.

Stranamente, la storiografia dei tempi a noi più vicini ha dedicato poco impegno al ripensamento e all'approfondimento di queste vicende, sia nel loro insieme (come episodi che, pur nella loro diversità, hanno dei tratti in comune) sia singolarmente. E' una bella e stimolante novità, quindi, l'opera che Martines ha dedicato all'episodio fiorentino e che si raccomanda anche per la qualità della scrittura e per l'originalità dell'impianto storico. L’autore ha esitato a intraprendere l'impresa, ci ha pensato per una ventina d'anni e, finalmente, ha sentito che il clima era adatto per un bloody tale , una storia di sangue; ha sentito che la sensibilità storica era cambiata in modo da rendere più agevole la ricostruzione della vicenda. L’autore ha dato rilievo non solo ai contenuti e significati politici, ma anche all'aspetto spettacolare dell'episodio. Lo spettacolo, che ebbe caratteri di terribile ed estrema violenza, fu intimamente connesso con la sostanza dell’azione politica: e forse episodi come questi, allora frequenti e diffusi, non furono estranei alla formazione degli aspetti più duramente pessimistici della concezione di Machiavelli. Il titolo originale inglese ("April blood"), che mette in più immediata evidenza i caratteri e i contenuti di violenza, si riferisce non tanto all'azione dei congiurati, che provocò la morte di Giuliano, fratello di Lorenzo il Magnifico, quanto invece al bagno di sangue della repressione che seguì all’attentato. L’analisi della congiura non è certo trascurata nel libro, è anzi esauriente e profonda; ma il significato storico della repressione appare in qualche misura sovrastante.

Ciò potrebbe essere anche un po’ inquietante per il lettore italiano, se non si tenesse presente il quadro generale della storia europea di quel periodo. Si può forse fare una distinzione, sia pure schematicamente e senza la pretesa di rispecchiare in sintesi il significato complessivo dell'opera: la congiura è l'elemento arcaico, medioevale, che viene sconfitto; la repressione è la modernità, che prevale e si afferma nella figura del principe, con il consolidamento del suo potere e di quello dei suoi sostenitori. Ma il modo in cui il principe fiorentino, peraltro colto e raffinato umanista, raggiunse questo risultato solleva interrogativi e problemi che riguardano tutta la storia moderna della nostra nazione.