mercoledì 21 luglio 2004

il prof Paolo Pancheri etc: schizofrenia

Yahoo! Salute 19.7.04

Psichiatria, Psicologia e Neurologia

Schizofrenia: un aiuto dalla conoscenza

Il Pensiero Scientifico Editore

di Antonio Caperna




Trasmettere "A beautiful mind" nelle scuole. È la proposta che arriva da Paolo Pancheri, professore ordinario di Clinica psichiatrica all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, per aumentare la conoscenza sulla schizofrenia. Il celebre film che narra la storia del premio Nobel per la Matematica, John Nash, rappresenterebbe un aiuto reale per mettere in un angolo quei pregiudizi che rallentano le cure.

Secondo un’indagine presentata a Roma, infatti, nell’84 per cento dei casi, il ritardo diagnostico dipende proprio dallo stigma verso questa patologia. “Questo film è stato utilissimo per aumentare l’interesse della gente - spiega Pancheri, nel corso del seminario ‘La schizofrenia vista da vicino’- il pregiudizio nasce dalla cattiva conoscenza di una malattia che si può curare”. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa un terzo delle persone che si ammalano guarisce e torna a svolgere una vita normale, un altro terzo guarisce ma deve continuare ad assumere i farmaci ed ha qualche ricaduta negativa ed infine l’ultimo terzo di pazienti evolve verso la cronicità con difficoltà in campo lavorativo e delle relazioni sociali.

L’indagine, promossa dalla Bristol Myers Squibb e curata dall’Abacus, evidenzia che il 64 per cento della popolazione italiana ritiene di conoscere la malattia, indicata come la forma più grave di patologia mentale, tanto che il 72 per cento degli intervistati con un alto livello di istruzione la colloca davanti alla depressione e alla fobia.

La ricerca ha coinvolto 500 persone, 200 psichiatri e alcuni pazienti con le loro famiglie. Il timore più grande è che una persona affetta da schizofrenia possa provocare guai a sé e agli altri (53 per cento) e rovinare la famiglia in cui vive (41 per cento). Nei centri con una popolazione inferiore ai 10 mila abitanti è radicata la convinzione che la persona malata possa vivere in armonia con il proprio contesto sociale, grazie soprattutto (57 per cento) alla terapia farmacologica. In termini di qualità di vita, le aspettative dei pazienti non sono diverse da qualunque altra persona: c’è il desiderio di una relazione affettiva, di un lavoro stabile, degli amici. Il rapporto con la famiglia è considerato fondamentale dal 56 per cento del campione mentre ai fini dell’accettazione della malattia, è importante non sentirsi considerati ‘malati di mente’.

Ad aiutare il paziente nel suo percorso è lo psichiatra (64 per cento), considerato soprattutto un riferimento per i momenti di crisi. Per quest’ultimo è il ‘marchio socio-culturale’, cioè lo stigma, che nell’84 per cento dei casi ritarda la diagnosi, mentre l’adesione al trattamento è un problema per il circa il 40 per cento dei pazienti, legato soprattutto agli effetti collaterali. Infine sono le donne a farsi maggiormente carico del familiare affetto da schizofrenia (61 per cento) e sono loro che si accorgono dei primi sintomi del congiunto, ovvero sintomi negativi nel 69 per cento dei casi (apatia, scarsità di concentrazione, perdita di interesse) e positivi nel 56 per cento (deliri e allucinazioni). 

“Non possiamo fare campagne di informazione contro lo stigma della schizofrenia e poi gli psichiatri o le associazioni si muovono in maniera poco convinta - afferma Antonio Guidi, sottosegretario di Stato alla Salute - la psichiatria ha tante prospettive e probabilmente delle contraddizioni ma non viviamola come la ruota di scorta delle altre branche mediche”.