lunedì 28 febbraio 2005

Lella Bertinotti...e intanto Fausto va al Congresso

Corriere della Sera 28.2.05
VERSO IL CONGRESSO / «Crisi anche tra di noi, ci ha unito l’affetto»
«Prc, donne poco visibili A Fausto tutto lo spazio»
Lella Bertinotti: non siamo una coppia da Mulino Bianco
Maria Latella

ROMA - «Comincio a preoccuparmi già qualche giorno prima. Perchè per Fausto il congresso è, insieme, emozione e fatica fisica. Così, lo vivo anch’io: con emozione e con un po’di preoccupazione». Lella e Fausto Bertinotti stanno insieme da quarant’anni e in quarant’anni hanno condiviso cambiamenti di città e di lavoro, la nascita del figlio e dei nipoti, la carriera di lui, l’adeguarsi di lei. Non è una moglie del genere «un passo indietro» Lella Bertinotti. Ha sempre camminato insieme al marito, talvolta precedendolo nelle scelte politiche. Lui era socialista, lei del Psiup: finirono entrambi nel Pci, ma lei prima di lui. «Anche a Rifondazione, se è per questo, mi sono iscritta con anni di anticipo rispetto a Fausto. Il Pci l’ho lasciato nel 1987: avevo capito dove si stava andando a parare». Marina Sereni è stata appena nominata responsabile dell’organizzazione dei Ds. Un ruolo importante. Come mai non c’è una donna di Rifondazione Comunista con una vera visibilità?
«Le donne ci sono e lavorano moltissimo. Per fare politica, una donna deve metterci il doppio della passione che ci mette un uomo, perchè dovrà rinunciare a molte più cose. Comunque è vero, le donne hanno poca visibilità: è l’effetto di una politica che ruota sempre intorno alle stesse facce. Rifondazione non sfugge alla regola: purtroppo è molto Bertinotti e c’è poco spazio per gli altri».
Colpa di Bertinotti.
«No. Lui spesso propone altri, per un’intervista, per una trasmissione televisiva. Qualche volta la proposta viene fatta cadere, altre volte non succede niente».
Lei si considera più a destra o più a sinistra di suo marito?
«Non so se è giusto definirmi più a sinistra... Forse si tratta di una collocazione più umana che politica. Insomma: io non sarei capace di trattare con certe persone, Fausto invece lo fa».
Chi le piace e chi le dispiace dei leader politici?
«Parliamo di quelli stranieri, è meglio. Ne ho conosciuti tanti, da Fidel Castro ad Arafat, a Marcos. E’ uno dei regali che ho ricevuto dalla politica: poter conoscere personaggi straordinari. A Cuba dormivamo in una casa, il cui giardino comunicava con quello di Gabriel Garcia Marquez. Mi alzavo all’alba per vederlo e una volta lui mi ha scoperta: "Cosa fa in piedi a quest’ora?". "Speravo di incontrarla" gli ho detto, come se fossi una fan di quindici anni. Un incontro sorprendente è stato quello con Chavez, il presidente venezuelano. Ero molto titubante, in fondo ha un passato da paracadutista. Invece è interessante, simpatico, autoironico».
Quarant’anni insieme a suo marito. Mai tentati dalla separazione?
«Certo che ci sono stati momenti di crisi, se no saremmo una coppia da Mulino Bianco. Ci sono stati, ma sono passati col prevalere della solidarietà, degli affetti».
E’ stata più moglie o più madre?
Pausa di incertezza. «Con tutti gli inevitabili errori, credo di essere stata una madre presente, per Duccio. Il padre lo seguiva negli studi, ma per il resto ci sono sempre stata io. Per anni abbiamo sentito dire che non conta la quantità del tempo dedicato ai figli, conta la qualità... Baggianate. Contano le ore, altrochè. I figli vogliono una madre attenta, interessata a loro, non distratta da mille altre cose».
Che cosa è cambiato rispetto agli anni in cui lei era una giovane mamma?
«C’è la lacerazione delle famiglie. Questo è cambiato. I bambini, oggi, crescono in famiglie che non sono più unite. Succede, è successo anche ai miei nipotini. Ed è una differenza grandissima perchè i primi a sentirsi precari sono proprio i piccoli. Provate a chiedere a un bambino se preferisce che mamma e papà restino insieme bisticciando o se è meglio che si separino. Risponderà che li vuole insieme, pure se bisticciano. I nostri figli crescevano con la certezza di avere una famiglia, brutta o bella che fosse. I bambini di adesso questa certezza non ce l’hanno».
La politica può influire su questa dimensione della vita?
«La politica può fare tantissimo. A cominciare dalla scuola. Io ho lavorato per trent’anni nella pubblica amministrazione, prima alla Provincia di Novara, poi a Torino e a Roma. All’epoca, la Provincia aveva larghe competenze sulla scuola e io ho seguito i viaggi che si organizzavano per gli studenti, ad Auschwitz o in Sicilia, per far conoscere loro il teatro di Pirandello. Oggi la scuola mi pare molto trascurata. Si dimentica che non è solo sede di apprendimento, ma luogo in cui si formano i cittadini. Tanto più in una fase come questa, con le famiglie fragili di adesso».
Difficile che la scuola si sostituisca alla famiglia, non le pare?
«Non sto dicendo questo. Ma la scuola dovrebbe poter intervenire. Mi dicono che negli istituti scolastici i centri di assistenza psicologica hanno liste d’attesa lunghissime. Ci sono tanti problemi, nuovi e vecchi, dalle tensioni domestiche alla droga. La politica può e deve occuparsi di questioni che peggiorano la vita delle famiglie, dal costo degli affitti alla precarietà del lavoro».
Le sembra che Fausto Bertinotti se ne occupi?
«A me sembra tra i più attenti. Se il salario non fosse precario, forse nelle famiglie si litigherebbe meno... Qualche volta gli dico che parla troppo poco di scuola».
Forse vuole tenersi buono il voto degli studenti...
Ride. «Non credo. I giovani votano Rifondazione perchè sentono che parliamo delle loro preoccupazioni, il salario sociale, il futuro precario...».
Del futuro precario che cosa la preoccupa di più?
«Il fatto che si possa crescere senza forti ideali. Dall’assenza di ideali derivano tutte le altre preoccupazioni, il farsi male con la droga, il ricorrere alla violenza. Con i miei nipoti cerco di parlare di questo, anche se sono piccoli. Leggo loro delle storie oppure vediamo insieme dei film. Poi ci sono quelle che Natalia Ginzburg chiamava "le piccole virtù": insegnar loro che è bello voler bene alla città in cui si vive, che bisogna proteggerla, non buttare la carta del gelato per terra... Ogni tanto mi scappa di mano il mio ruolo di nonna e tendo a fare l’educatrice. Non dovrei, lo so, ci sono mamma e papà per questo».

L'Unità 28 Febbraio 2005
«Non sarà l’ultimo congresso comunista»
Bertinotti: il timone riformista? Le parole di Prodi non mi offendono, proveremo a metterle in discussione
Simone Collini

ROMA Fausto Bertinotti esclude che quello che si apre giovedì a Venezia Lido sia l’ultimo congresso di un partito comunista. Alle quattro mozioni di minoranza che contestano l’alleanza con il centrosinistra, il segretario del Prc risponde che in questa fase il partito deve entrare in un eventuale governo dell’Unione, mentre alla Federazione dell’Ulivo fa sapere: «Quando Prodi dice che il timone deve essere riformista, io non mi offendo. Dico però che proveremo a dimostrare che questo può essere messo in discussione».
Onorevole Bertinotti, per ora la sua mozione è data al 59,7% dei consensi. Valeva la pena annunciare a gennaio che avrebbe governato il partito anche con il 51%?
«Non era un atteggiamento arrogante, quello, non aveva il senso di una manifestazione muscolare. Il messaggio era: andiamo a un chiarimento di fondo ora, perché poi si apre una fase complessa di gestione - che va dalle elezioni regionali alle politiche, dalla costruzione dell’Unione alla definizione del programma dell’alternativa - che deve essere messa al riparo da elementi di incertezza e di ambiguità».
A giudicare dalle dichiarazioni che vengono dalle minoranze alla vigilia del congresso nazionale, il chiarimento sembra tutt’altro che compiuto.
«Da parte nostra ci siamo mossi su una linea molto netta, non si è fatta nessuna concessione, anzi addirittura si è lavorato a rendere particolarmente nitido il profilo della scelta. Quindi è naturale che le ragioni di contrasto emergano e continuino ad emergere ora. Questo è un congresso di scelta netta, e mi pare che la nostra posizione sia stata premiata, perché in questi ultimi anni abbiamo governato il partito con percentuali inferiori».
Secondo il senatore Malabarba, la sua proposta vince ma non convince, e definisce emblematico il caso del circolo di Mirafiori, dove la mozione trotskista di cui è primo firmatario ha superato il 65% dei consensi.
«È un’operazione inelegante e poco significativa. Né mi piace replicare, perché potrei farlo citando molte altre realtà operaie o di lotta che non ritengo gerarchicamente inferiori rispetto a Mirafiori, a cui pure mi sento molto legato».
Fiat Mirafiori è un luogo simbolo della lotta operaia...
«Allora dico che Acerra non è meno importante, Terni non è meno importante. Ma lo dico non per una rivalsa, ma per sottolineare che si sta insistendo su un’idea del conflitto chiaramente diversa da quella che il movimento ci ha insegnato. Siccome le forme plurali di lotta vanno dal luogo di lavoro al territorio, dalla struttura dei servizi a nuove forme di organizzazione come l’articolazione dei centri sociali, la riduzione di tutte queste espressioni ad una sola è un’operazione poco rispettosa della struttura stessa del movimento».
Tutte e quattro le mozioni alternative alla sua contestano l’alleanza con il centrosinistra: o perché ancora non si è discusso il programma, come fa l’area dell’Ernesto, o perché il Prc non può andare al governo con forze liberali, come sostengono i trotskisti. Come risponde?
«Rispondo con due argomentazioni. La prima, è che è del tutto arbitrario e anche fuorviante individuare il centro del congresso nella questione del governo. Il centro è la costruzione di un’alternativa di società di fronte alle crisi delle politiche neoliberiste e in un mondo caratterizzato dalla guerra e dal terrorismo».
Sembra elusivo...
«Nient’affatto. Stiamo parlando di mettere in campo ricette politiche completamente diverse dalle attuali. Dico anche che l’impoverimento della politica che si produce con la centralità del governo è foriera di grandissimi danni e che per quanto ne siamo capaci noi dobbiamo evitarla. Il governo è considerato un passaggio che può doversi fare, non necessariamente indica una collocazione in sé migliore di quella dell’opposizione, dipende. Ma il punto è capire in che strategia è inserita questa scelta. E in questa strategia, in cui resta centrale il rapporto con i movimenti, il senso che vogliamo trasmettere è di un aut-aut, per l’Italia, per l’Europa, per il mondo. Abbiamo o no una percezione drammatica del passaggio che la destra opera in Italia e nel mondo? C’è una necessità della politica oppure no?».
Detto nel modo più semplice possibile?
«In questa situazione, se una forza politica di sinistra non si mette nella condizione di raccogliere la domanda che viene da tutti i popoli della sinistra di cacciare Berlusconi, dimostrando il proprio contributo attivo, finisce per essere cancellata come forza di massa. E aggiungo giustamente, perché vorrebbe dire che non si vedono le conseguenze, anche di lungo periodo, provocate dalle politiche del governo Berlusconi».
Al congresso di Rimini avete rotto con lo stalinismo. Questo potrebbe essere l’ultimo congresso di un partito comunista?
«No. Da Rimini siamo andati avanti fino alla nonviolenza e abbiamo lavorato per riformare profondamente la nostra cultura politica, questo è vero. Però tutta questa operazione è fatta in modo da consentire per la prima volta dopo 25 anni una uscita da sinistra dalla crisi del movimento operaio, perché se alla fine del secolo scorso la partita era chiusa, all’inizio di questo secolo si è riaperta».
E questo che sia l’ultimo congresso che la vede segretario, si può dire?
«Ho il dovere di riserbo nei confronti dei congressisti. Però penso che la politica non si sottragga alla legge del tempo».
L’Europa del centrosinistra sarà stretta alleata degli Stati Uniti?
«Io spero in un atlantico largo, che è l’unica protezione possibile al riparo della quale possa crescere un’Europa autonoma, sia come soggetto di politica internazionale, sia come modello sociale ed economico».
Secondo D’Alema il Papa ha giocato un ruolo positivo nella fine dell’Unione sovietica, secondo lei?
«Dico soltanto che malgrado veda l’incidenza della globalizzazione e anche di forze come quelle della chiesa, penso che la ragione principale del crollo dei regimi sia tutta interna».
Cioè?
«C’è stata un’implosione per perdita di consenso. E, perciò, storicamente comprensibile e giustificata».

Il Tempo 27.2.05
LA CONTROMOSSA DI RIFONDAZIONE Ma Bertinotti rilancia:
«Dobbiamo trovare un accordo»


«NOI siamo d'accordo nell'offrire ai Radicali quella "ospitalità elettorale" nel nostro schieramento che è ovviamente e dichiaratamente cosa ben diversa da un accordo programmatico e dalla condivisione comune di tesi politiche». Lo afferma il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, rispondendo ai lettori di Liberazione nel numero in edicola oggi. «Non lo facciamo — dice ancora il leader del Prc — per un pugno di voti in più. In ogni caso ribadisco che accostarsi a questo problema con un'ottica puramente utilitaristica sarebbe una operazione miope e probabilmente inefficace. Che noi non siamo d'accordo con i Radicali è cosa davvero fin troppo evidente. Lo dimostrano inequivocabilmente le battaglie che abbiamo combattuto spesso per obiettivi e su versanti non solo diversi, ma addirittura opposti. Non è tuttavia un caso se questo sia sempre avvenuto entro un rapporto di sostanziale e reciproco rispetto. Né si può chiedere a loro né tantomeno pretendere abiure delle loro posizioni che suonerebbero inevitabilmente false e quindi rappresenterebbero un'offesa alla intelligenza degli elettori». «Naturalmente — dice ancora il segretario di Rifondazione — questa diversità non è assoluta, non è estesa a tutti i campi, non diventa totale incomunicabilità. Non lo è stato nel passato, non lo è neanche oggi. È infatti evidente che attorno alla questione della presenza dei Radicali nelle liste dell'Unione, si annoda il tema del referendum sulla procreazione assistita. La stessa data della sua convocazione è oggetto di un acceso scontro politico». Bertinotti infine, riferendosi anche alle considerazioni di Arturo Parisi in una lettera al Corriere della Sera, lega il discorso dell'alleanza con i Radicali alla questione del bipolarismo e della legge elettorale. «Proprio noi, che da sempre siamo contrari al maggioritario, e pur dovendolo subire, non rinunciamo all'idea — afferma il leader del Prc — di una riforma istituzionale basata su un sistema essenzialmente proporzionale, non possiamo semplicemente rispondere: "chi è causa del suo mal pianga se stesso"». «Anzi, dobbiamo aggiungere esplicitamente un altro motivo della nostra disponibilità alla "ospitalità" elettoralè verso i Radicali, quello, appunto di una critica in positivo e di una contromossa, per quanto limitata, rispetto all'attuale sistema elettorale. Il che — conclude Bertinotti — può essere anche un buon esempio, un pro-memoria, per la prossima legislatura».